di Paola Manca

Anna Marongiu, Il Circolo Pickwick

Il Charles Dickens Museum di Londra ha dedicato una mostra (6 aprile - 11 settembre 2022), intitolata Picturing Pickwick, alle illustrazioni del celeberrimo primo romanzo del grande scrittore inglese. Il circolo Pickwick, uscito in dispense mensili nel 1836 e in volume l’anno successivo, ebbe uno straordinario successo e trasformò il quasi sconosciuto Dickens nell’autore più famoso e amato del Regno Unito. La mostra londinese celebra, in particolar modo, le illustrazioni realizzate tra il 1928 e il 1929 dall’artista cagliaritana Anna Marongiu Pernis; si tratta di un corpus formato da 262 tavole, tra cui 29 acquarelli e 233 disegni a penna, che nel 1985 fu donato al Charles Dickens museum dalla famiglia dell’artista.

di Giuliana Altea

Edina Altara, Viaggio alla luna

Attraverso i casi della decoratrice Edina Altara e della pittrice Francesca Devoto, questo intervento esamina due distinti – e cronologicamente successivi – modelli operativi aperti nel primo Novecento alle donne artiste. Così facendo tocca inevitabilmente un orizzonte di problemi proprio di tutta la cultura figurativa del periodo: dalle connotazioni di genere attribuite all’espressione artistica e alle idee sulla creatività femminile e maschile, alle identità pubbliche che artiste e artisti hanno di volta in volta costruito per sé stessi.

di Antonella Camarda

Maschera apotropaica

Nel processo di formazione della nazione sarda, intesa come “comunità politica immaginata, e immaginata come intrinsecamente insieme limitata e sovrana”, iniziato alla fine del XIX secolo, ma rinegoziato profondamente nel secondo dopoguerra, la continuità etnica tra sardi delle origini e attuali è stata un tassello importante, nonostante l’incertezza sulla realtà storica di questo legame. La cultura nuragica è stata utilizzata in modo ideologico per la costruzione di autorappresentazioni, certo non meno efficaci perché non suffragate a sufficienza da dati scientifici.

di Alfredo Pomogranato

Visani, Due scolari

Quando Arrigo Visani approda in Sardegna nel 1961, è già un valente pittore e affermato ceramista con una ricca esperienza artistica costruita a partire dagli studi superiori alla Regia Scuola d’Arte di Faenza diretta in quegli anni dal grande Gaetano Ballardini e che annoverava illustri maestri-insegnanti come Domenico Rambelli, Anselmo Bucci, Maurizio Korach e Pietro Melandri. Lì, aveva conseguito il doppio diploma del Corso Tecnico e Artistico. Con questa cassetta degli attrezzi ben fornita torna nella sua città natale, Bologna, per entrare nell’Accademia di Belle Arti. Gli studi universitari saranno importanti per la sua formazione pittorica che passa attraverso la guida di insegnanti del calibro di Giorgio Morandi e Virgilio Guidi.

di Bepi Vigna

Tarquinio Sini, La toilette della padrona

1. La secessione sarda

La nascita in Sardegna di una scuola di artisti che hanno fatto dell’illustrazione e del fumetto il loro principale campo di espressione, può apparire un fatto abbastanza singolare, se si considera che nell’isola non vi erano strutture editoriali e industriali che offrissero reali opportunità a chi lavorasse in questi settori.

di Vincenzo Medde

La sociologa Anna Oppo intervenendo nel 2005 in un seminario sull’identità della Sardegna si chiedeva: «Esiste un’identità culturale dei sardi? E se esiste dove la si deve cercare? Nella testa della gente, nei comportamenti quotidiani che formano gli stili di vita, negli oggetti che sono di quella cultura e non di altre?».

di Ivo S. Fenu e Fabio Ferrari

Finestra a Seneghe

Inoltrarsi nei vicoli di molti paesi dell’Isola può ancora riservare sorprese: è come fare un viaggio a ritroso nel tempo, immergersi in quella che fu la Sardegna spagnola, carica di esotismo e di arcane suggestioni. Vicoli stretti, muri di fango talvolta imbiancati che nascondono agrumeti e palmizi, o di pietra, a protezione di legnaie e magazzini in disuso. Un contrasto tra abbacinate luminosità e ombre profonde, colori e profumi un tempo dominanti e ora ridotti a rari e preziosi reperti di un passato lontano.

di Gillo Dorfles

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Il fatto di considerare, a tutti gli effetti, il tappeto come un’opera d’arte ha una tradizione antichissima: nessuno – o ben pochi – ormai ritengono opportuno, come accadeva ancora qualche tempo fa, di fare una distinzione tra valore estetico d’un antico tappeto persiano, d’un tessuto copto o incaico, e quello d’una coeva scultura, ceramica o pittura. Il pregiudizio che, per qualche tempo, fece sì che si considerasse «minore» l’arte cosiddetta «applicata» e decorativa , ha fatto il suo tempo.