Le copertine sarde per Il giornalino della Domenica

di Vincenzo Medde

Giuseppe Biasi, «senza dubbio il maggior pittore sardo del Novecento» (Altea 7), nato a Sassari il 23 ottobre 1885, fin dall’adolescenza si interessa alla e si esprime attraverso la grafica e in particolare attraverso la caricatura, pubblicando schizzi e vignette su giornali umoristici e goliardici universitari. È però il soggiorno di alcuni mesi a Roma nel 1905 che gli permette, solo ventenne, di entrare in contatto con artisti, intellettuali, giornali, riviste che animano il dibattito e la produzione culturale e artistica nella capitale e nel paese. A Roma infatti viene introdotto nella redazione dell’«Avanti della Domenica», una rivista nella quale scrivono e pubblicano Mario Sironi, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini protagonisti dell’arte moderna in Italia. In questo contesto e in questi ambienti intellettuali consolida il suo interesse per la grafica, confermandosi nella sua idea iniziale che non fosse affatto una forma d’arte inferiore o subordinata alla pittura, ma che invece avesse strumenti espressivi in grado di raggiungere il pubblico in modo più immediato e più efficace della pittura stessa. A Roma, inoltre, conosce Duilio Cambellotti, un pittore la cui visione del mondo lo spinge a rappresentare la realtà dei contadini e delle campagne romane come espressione di un modo di vita che l’industria sta cancellando ma ancora capace di esprimere valori etici ed estetici che la modernità non può perdere.

Rientrato a Sassari, nell’ottobre del 1905 tiene la sua prima mostra nella quale espone circa duecento caricature. Chiude così la sua primissima esperienza artistica e, memore anche della lezione di Cambellotti, inizia una serie di spedizioni nei villaggi della Sardegna per conoscere e documentarsi su quella realtà isolana la cui rappresentazione e “rivelazione” diventerà suo precipuo e caratterizzante compito artistico: rivelare la Sardegna ai sardi agli italiani agli europei. Questo proposito è corroborato dalla conoscenza di Grazia Deledda di cui diventerà poi assiduo illustratore.

Rivelare la Sardegna e rivelarla attraverso la grafica, da programma che era si traduce in esperienza artistica concreta quando inizia a collaborare con «Il giornalino della Domenica». Era questo una rivista settimanale nata il 24 giugno 1906, con l’intento di proporre tutte le domeniche ai ragazzi dai sette ai quindici anni una lettura che fosse istruttiva senza essere noiosa e accompagnata da immagini che per qualità di idee e di realizzazione fossero altrettanto formative dello scritto. Il progetto della rivista – educare con immagini e parole – affidava la sua forza d’impatto alle copertine di grande qualità e creatività grafica, mentre davano spessore culturale e comunicativo ai contenuti collaboratori importanti come Grazia Deledda, Emilio Salgari, Luigi Pirandello, Giovanni Pascoli, Luigi Capuana, Ada Negri, Pietro Mascagni.

Biasi collaborerà con «Il Giornalino» dal 1906 al 1910 con quattordici copertine «la cui originalità di concezione, le inedite soluzioni cromatiche e compositive lo collocano ai vertici della grafica italiana del momento» (Altea, Magnani, p. 30). Il vertice della creatività grafica Biasi lo esprime nella copertina del 2 giugno 1907, La processione del “Corpus Domini”, che si caratterizza per «il raffinato intarsio di piani colorati, la sapiente inquadratura obliqua, di tono quasi cinematografico, il tratto energicamente riassuntivo e il gioco straniante dei contrasti cromatici che trasformano il rito popolare in apparizione fantastica, vagamente fiabesca, di inusitata, barbarica bellezza» (Altea, Magnani, p. 32).

Com’è, cos’è la Sardegna che Biasi intende rivelare e che rivela prima in alcune copertine per «Il giornalino della Domenica» e poi nelle successive esperienze di pittura? È una Sardegna certo conosciuta ma, soprattutto, immaginata, ricreata nel mito di un’esistenza popolare che si è mantenuta integra, fiera e indomita nonostante gli attacchi della modernità e dell’industria e come tale fonte di ispirazione per un’arte che si voglia essa stessa pura, incontaminata, forte e semplice. I mezzi espressivi a disposizione per rendere questa idea di Sardegna popolare sono inizialmente (nelle copertine per il giornale fiorentino) essi stessi semplici (almeno in apparenza): la linea spezzata a chiudere in poligoni tagliati il colore uniforme, piatto, vivido. L’insieme e la composizione sembrano sgorgare per automatico assemblaggio dalle forme e dai colori dei costumi sardi, quelli delle donne in specie. Eppure linee spezzate e poligoni di colore omogeneo si compongono in scene in cui il movimento non solo non è assente, ma anzi è la prima cosa che colpisce chi guarda, come per altro il redattore del Giornalino metteva in evidenza nella descrizione della Processione del "Corpus Domini" in Sardegna: «È una scena pittoresca e grandiosa della vita Sarda, che il nostro valentissimo Biasi ha saputo cogliere e riprodurre con una sicurezza di effetti eccezionale. La processione scende dalla chiesola posta al sommo della collina; e le vesti, le fisionomie, gli atteggiamenti di quelli che ne fanno parte sono così caratteristici, da conferire alla nostra copertina la dignità di un vero quadro di costumi. Si osservi con quale bravura il pittore ha saputo adoperare e combinare gli smaglianti colori del cielo e del paesaggio Sardo, ottenendo con mezzi apparentemente semplicissimi una prospettiva e un’impressione di vita e di movimento insuperabili» («Il giornalino della Domenica», n. 22, 2 giugno 1907, p. 19).

Biasi, benché avesse peregrinato per i villaggi sardi e si volesse cantore delle virtù del popolo sardo, non sembra in effetti né interessato alla né partecipe della reale vita dei contadini e dei pastori sardi, non ne vuole raccontare veristicamente le condizioni di esistenza, le contraddizioni, la miseria, la violenza, non vuole neppure esprimere se non un programma neppure un’esigenza di riforma delle condizioni economiche sociali, non vuole patrocinare un programma di rivolta politica. Dal contatto con le condizioni e la cultura materiale del villaggio sardo Biasi vuole ricavare e ricava sensazioni vitali, esperienze estetiche, spunti creativi per un progetto artistico che rovescia in positivo l’immagine di barbarie arretrata che caratterizzava la Sardegna nella cultura del tempo: la Sardegna diventa così il luogo in cui ancora si esprime la primordiale bellezza delle sue genti, barbare, forti, moralmente incorrotte, non segnate dalla conoscenza e dal progresso.

Questa trasfigurazione esotizzata delle caratteristiche del popolo sardo (belli e canaglie, definirà Biasi i pastori sardi), si realizza emblematicamente nella rappresentazione e valorizzazione del costume sardo, secondo l’artista sassarese la massima espressione del genio creatore isolano. «Tutt’altro che meri addobbi più o meno pittoreschi, essi [i costumi] riflettono, nella loro inesauribile ricchezza di forme e di colori, l’immagine di una realtà già stilizzata. Con l’inconsueta, sapiente semplicità delle fogge e dei tagli, con la raffinata coerenza delle linee, rimodellano plasticamente i corpi, dando loro una rigida apparenza di simulacri arcaici; nei tessuti e nei ricami, accesi da vividi contrasti di tinte, colpisce il ritmico ripetersi di motivi geometrizzanti, di patterns astratti che nulla hanno da invidiare ai ritrovati formali della pittura moderna. Per Biasi essi rappresentano quel che le statue africane rappresentano agli occhi dei protagonisti dell’avanguardia: sono immagine del primitivo, di un primitivo concepito come appartenente alla sfera della Natura e della Cultura al tempo stesso. » (Altea, Magnani, p. 53).

Le copertine qui riprodotte provengono dalla Collezione di fumetti e libri illustrati di Raffaele Piras. icoNUR lo ringrazia per averle messe generosamente a disposizione.

Bibliografia
Giuliana Altea, Marco Magnani, Giuseppe Biasi, Fondazione Banco di Sardegna-Ilisso, Nuoro 1998.
Giuliana Altea, Giuseppe Biasi, Ilisso, Nuoro 2004.