di Vincenzo Medde

Il portale della chiesa parrocchiale di Norbello è di fattura assai recente, ma riporta in rilievo diversi simboli dell’iconografia cristiana di antichissima origine: i quattro del tetramorfo rappresentanti gli autori dei vangeli, il Chrismon, il pesce, l’ancora.

Si vuole qui ricostruire rapidamente l’origine e il significato di tali simboli.

Tetramorfo

Portale della chiesa parrocchiale di Norbello Portale della chiesa parrocchiale di Norbello
Il tetramorfo, con i simboli dei quattro evangelisti Il tetramorfo, con i simboli dei quattro evangelisti

Ezechiele, uno dei grandi profeti dell’Antico Testamento, in seguito alla conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 587 a.C., venne deportato a Babilonia. Qui, negli anni dell’esilio, ha diverse visioni, in una delle quali, in una grande nuvola illuminata da un turbine di fuoco, gli appaiono quattro “esseri animati” ciascuno dei quali, dotato di quattro ali, aveva contemporaneamente fattezze d’uomo, di leone, di toro e d’aquila; accanto a ciascun essere stava una ruota; in alto, in una sorta di firmamento, apparve poi un trono e una figura di sembianze umane. Si trattava di una visione che alludeva alla gloria dell’Onnipotente (Ez. 1,4). I quattro esseri ricordano i karibu assiri, sculture dalla testa umana, corpo di leone, zampe di toro e ali d’aquila collocate all’ingresso dei palazzi di Babilonia. Tali rappresentazioni hanno però origine ancora più antica perché nelle cosmogonie mediterranee il cielo era una semisfera ancorata ai quattro punti cardinali, rappresentati da quattro costellazioni: il toro, il leone, l’aquila e l’uomo (ossia il sagittario).

Attorno al 100 d.C., nell’Apocalisse, Giovanni riprende la visione di Ezechiele: in mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo aveva l’aspetto di un vitello, il terzo di un uomo e il quarto a un’aquila (Ap, 4). Nella visione di Giovanni dunque i quattro esseri hanno ciascuno le sembianze di un solo animale.

La visione di Ezechiele e, soprattutto, quella di Giovanni vennero assunte dalla tradizione iconografica cristian in funzione simbolica: l’uomo rappresenta l’incarnazione di Gesù; il bue, animale sacrificale per eccellenza, la crocifissione; il leone i cui piccoli aprono gli occhi dopo la nascita, la risurrezione; l’aquila, che si innalza nel cielo, l’ascensione.

A partire dall’interpretazione di sant’Ireneo, i quattro “esseri viventi”, dotati di ali, vengono associati ai quattro evangelisti: l’uomo a san Matteo, il cui vangelo si apre con la genealogia umana di Gesù; il bue a san Luca, il cui testo comincia con un sacrificio; il leone a san Marco, il cui racconto inizia con la predicazione del Battista, il leone del deserto; l’aquila a san Giovanni il cui sguardo si rivolge al divino come quello dell’aquila al sole.

Nelle quattro figure possono essere rappresentati solo i quattro animali, oppure quattro figure umane con la testa di animale. Con ciascuna figura è rappresentato anche un libro, il vangelo di cui l’evangelista è autore.

Nel portale della chiesa di Norbello rappresentano i quattro evangelisti, nell’ordine da sinistra a destra: la testa di un toro, la testa di un leone, una testa con il volto non delineato, incorniciata da lunghi capelli che scendono fin sulle spalle e su un mezzo busto appena sagomato dal quale spuntano le ali, la testa di un’aquila; tutte e quattro le testo sono associate a un libro aperto.

Chrismon

L’ancora e il Chrismon L’ancora e il Chrismon

Il Chrismon o monogramma di Cristo è un simbolo che risulta dalla sovrapposizione di due lettere dell’alfabeto greco iniziali di Cristo: X (Chi, nome greco) P (Rho, nome greco), ΧΡΙΣΤOΣ (KHRISTOS, in greco). La sovrapposizione evoca inoltre la croce. Iniziò a diffondersi nella parte orientale dell’impero romano, dove si parlava greco, a partire dal III secolo d.C., e nel IV era oramai diffuso in Italia, Spagna, Africa del Nord, Gallia, Siria sugli affreschi, sui sarcofagi, sulle tombe, negli epitaffi. Diventò anche un simbolo di vittoria, dopo che Costantino con la battaglia del Ponte Milvio, nel 312 d.C., lo pose sulle insegne del suo esercito, come raccontano gli scrittori cristiani Lattanzio ed Eusebio.

Alla X e alla P vengono spesso unite altre due lettere: Α (alpha) e Ω (omega), prima ed ultima lettera dell’alfabeto greco, usate come simbolo del principio e della fine e della divinità di Gesù Cristo, secondo l’insegnamento di Giovanni Apocalisse (1,8; 22,13): «Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente ... Io sono l’Alfa e l’Omega , il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine». Talvolta sotto la gamba della P si trova una S, ultima lettera del nome Χριστός. Attorno al monogramma viene inoltre disegnata una corona d’alloro, segno di vittoria. In questa forma il simbolo si presta a interpretazioni più complesse: se la lettera S è vista come un serpente trafitto dalla gamba della P, il simbolo commemora la vittoria di Cristo sul male.

Qui un repertorio che include centinaia di esempi di chrismon, peraltro limitato alla Spagna e alla Francia meridionale.

Ancora

Rappresenta la speranza e la salvezza, il porto sicuro che l’uomo trova in Cristo, secondo l’insegnamento di Paolo: «Così Dio, volendo mostrare con maggiore evidenza agli eredi della promessa l’immutabilità del suo proposito, intervenne con un giuramento; affinché mediante due cose immutabili, nelle quali è impossibile che Dio abbia mentito, troviamo una potente consolazione noi, che abbiamo cercato il nostro rifugio nell’afferrare saldamente la speranza che ci era messa davanti. Questa speranza la teniamo come un’àncora dell’anima, sicura e ferma, che penetra oltre la cortina, dove Gesù è entrato per noi quale precursore, essendo diventato sommo sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec.» (Ebrei 6,18-20).

Pesce

Ιησοῦς Iesus Gesù
Χριστός Christos Cristo
Θεoῦ Theou di Dio
Υιός Uios Figlio
Σωτήρ Soter Salvatore
Il simbolo del pesce Il simbolo del pesce

Agli inizi dell’era cristiana, il pesce è stato usato nelle catacombe come rappresentazione simbolica di Cristo perché la parola greca ΙΧΘΥΣ, che significa appunto pesce, è formata dalle iniziali delle parole che in greco significano "Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio".

«Verso il V secolo, il pesce come immagine simbolica di Cristo scompare perché i cristiani, non più perseguitati, non sentivano la necessità di celare l’oggetto del loro culto. Tuttavia esso è rimasto un animale simbolico, secondo diversi significati. Prima di tutto è considerato un’immagine dell’anima umana che Cristo prende nelle sue reti. Questa assimilazione ha origine nella scena della vocazione degli apostoli. I primi quattro discepoli di Gesù sono pescatori del lago di Genezaret che abbandonano il loro mestiere per diventare pescatori di uomini (Mt 4,19). Anche la pesca miracolosa può essere interpretata alla luce di questa associazione simbolica. Nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, questi ultimi simboleggiano il cibo divino che sazia gli uomini senza mai esaurirsi. Nell’Antico Testamento, il pesce è un simbolo ambivalente: nel libro di Tobia ha una funzione positiva, tanto che il suo cuore, bruciato da Raffaele, protegge il giovane dal demonio Asmodeo, mentre il suo fiele restituisce la vista al vecchio padre cieco. Al contrario, nella storia di Giona, benché ubbidisca a Dio, è la personificazione del demonio. Esso inghiotte il profeta e non lo rigetta che alla fine del terzo giorno, come Cristo morto e risorto dopo tre giorni».

Marc Thoumieu, Noel Deney, Dizionario di iconografia romanica, Jaca Book, Milano 1997, p. 302.