di Vincenzo Medde
1. Le immagini raccolte nei musei, nei palazzi, nelle chiese non sono solo disegno, linee, colori; sono anche soggetto e racconto a cui l’artista e il committente hanno affidato un significato e una funzione. Bisogna allora studiare il punto di vista dell’artista e del committente per sapere che cosa volevano raccontare.
2. Come dice un grande storico dell’arte, Émile Mâle, non serve a nulla cercare di indovinare il punto di vista e gli obiettivi di chi ha realizzato le immagini: bisogna sapere.
3. Per capire una grandissima parte delle immagini prodotte in Europa nell’arco di 25 secoli occorre conoscere le due grandi fonti a cui hanno attinto generazioni di artisti: la religione e la mitologia greco-romana da una parte, la Bibbia, i Vangeli (canonici e apocrifi), la vite dei santi dall’altra. Non sono certo tutto, ma senza conoscere almeno un po’ questi due grandi serbatoi di immagini è inutile andare in giro per musei e città d’arte: non si può proprio capire.
4. In Sardegna, fonti esclusive risultano, di fatto, quelle vetero e neotestamentarie, mancando nell’Isola quasi ogni riferimento alla mitologia greco-romana. Questo restringimento all’orizzonte cristiano delle fonti iconografiche in Sardegna è dovuto all’assenza nei secoli XV-XVII di élites economiche, politiche, culturali che, sulla base della riscoperta umanistica dell’antico, riportassero in vita, come alimento del nuovo, idee e immagini della civiltà classica. La vita asfittica delle élites ibero-sarde sarà all’origine oltre che del restringimento iconografico anche del concomitante restringimento degli spazi: assenti altri spazi come il palazzo pubblico o il palazzo signorile, in Sardegna l’unico spazio disponibile per l’ostensione delle immagini resterà per molti secoli la chiesa. Un restringimento, infine, delle tipologie, restando la pala lignea d’altare, il retablo, la forma espressiva di gran lunga prevalente in tutta l’Isola e per diversi secoli.
5. Il museo sembra essere il luogo della massima concretezza: opere, quadri, reperti si possono vedere, ammirare, studiare e quasi toccare, qualcuno anzi li tocca proprio. Il museo è invece il luogo degli inganni. Le opere che vediamo raccolte e allineate su bianche pareti illuminate, e qualche volta protette da spessi vetri, hanno avuto una storia e sono approdate al museo dopo complicato peregrinare. Erano un tempo collocate in luoghi significativi: una cappella di famiglia, uno studiolo accessibile a pochi, una chiesa frequentata da un’intera città, una piazza pubblica, la porta di una cattedrale. Vengono dunque da luoghi diversi e da epoche diverse, erano destinate a essere viste da persone diverse per cultura, fede, ricchezza.
6. Nei musei poi, l’opera che vediamo può ben essere solo un pezzo dell’opera originaria: la predella di una pala d’altare, l’anta di un polittico, metà di una tavola, i polvaroli di un retablo, una pagina miniata di un antico codice.
7. Se vogliamo davvero capire, dobbiamo pensare ai luoghi in cui le opere erano collocate, alle persone che potevano vederle, al tutto di cui facevano parte. Occorre riunire e ricollocare nel contesto d’origine. Bisogna, idealmente, svuotare i musei e riempire chiese, cappelle, altari, piazze, palazzi.
8. L’accorto iconauta non va a visitare gli Uffizi, il Louvre, la National Gallery, la Pinacoteca di Cagliarie e neppure il piccolo museo di provincia o la cappella che ospita una solitaria "opera d’arte". Cerca invece in tali luoghi un’opera, un gruppo di opere, un artista, un tema, un filo... logico. Attraversare quasi al galoppo le sale dei musei, senza meta né scopo, serve solo a fare una marmellata di immagini che non lascerà nessun gusto e ricordo; al termine della scorpacciata, volti temi colori si confonderanno e Afrodite sarà a stento distinguibile dalla Vergine Maria.
9. Il motto dell’accorto iconauta, anche o soprattutto a fronte di una ricca offerta espositiva, dovrà essere: meglio meno ma meglio. Un’immagine compresa è più piacevole di cento immagini non comprese.
10. Umberto Eco ha scritto che si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Altrettanto, l’accorto iconauta sa che vedere dieci volte la stessa opera è importante come vedere una volta sola dieci opere. L’accorto iconauta perciò non dirà mai: "No, a Santa Trinita non vado, l’ho già vista una volta"; "Il retablo di San Bernardino? L’ho già visto!". L’accorto iconauta torna, rivede, ripensa. La seconda non è mai come la prima e la terza non è mai come la seconda. Ogni volta è un nuovo vedere.
11. L’accorto iconauta, in visita a mostre e musei, chiese e cappelle non s’intruppa, non s’imbranca, non ci va al seguito di una "guida" che urla a trenta visitatori frettolosi e distratti. Ci va da solo o con un piccolo gruppo. Non grida. Non disturba, perché non vuole essere disturbato.
12. L’accorto iconauta prima di visitare un museo, una chiesa, una mostra, legge si documenta sceglie che cosa vedere.
13. L’accorto iconauta è però anche curioso, disposto a cercare, vedere cose nuove. Esce perciò dalle sale più frequentate; al Louvre lascia la coda della Gioconda per dedicarsi – in una sala vicina – al ritratto di Baldassarre Castiglione, meno famoso ma altrettanto interessante; agli Uffizi può anche trascurare la Venere del Botticelli per dedicarsi, è giusto di fronte, al Trittico Portinari di Hugo van der Goes; alla Pinacoteca di Cagliari può dedicare la propria attenzione solo al confronto di tre crocefissioni.
14. L’accorto iconauta non frequenta solo i grandi musei, per dire: ci sono stato anch’io; non trascura quanto c’è di bello e interessante vicino a casa sua; conosce la chiesa del suo villaggio, la pieve poco lontana; il museo della città vicina.
15. L’accorto iconauta sa che le opere d’arte sono beni deperibili che bisogna custodire, curare, rispettare; e, se non le può custodire, le cura, le rispetta, le fa conoscere.