di Raffaele Manca
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1. Premessa. La ricerca di un documento relativo alla chiesa di Santa Maria della Mercede

Fin dagli anni ’70 del secolo scorso, con il coinvolgimento attivo dei ragazzi delle sue classi scolastiche e del Gruppo Archeologico da lei stessa fondato, la compianta Bianca Miselli aveva avviato un appassionato lavoro di ricerca storica e di indagine sul territorio finalizzati all’approfondimento della conoscenza dei diversi periodi della lunga vita dell’insediamento umano conosciuto oggi sotto il nome di Norbello. Negli anni seguiti alla sua improvvisa scomparsa, avvenuta nel 1988, l’impegno è stato ripreso e coltivato, con alterna fortuna, nel contesto della programmazione delle attività del “Centro di Cultura Popolare dell’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo”, da sempre ospitato nei locali del “Centro Servizi Sociali”.

Solo a partire dal 2005, però, con l’organizzazione e l’avvio operativo del “Gruppo Storico Medievale”, è stata attivata all’interno del Centro, una vera e propria azione divulgativa tesa sia a favorire un percorso di avvicinamento della comunità locale alle vicende e ai personaggi che sono stati parte importante della sua storia che ad estendere il livello di condivisione delle conoscenze e dei risultati acquisiti sul piano della ricerca storica. Sono nate così le rievocazioni annuali animate dai Gruppi Storici più importanti di tutta l’Isola, costruite e articolate come vere e proprie lezioni di storia locale e presentate attraverso azioni sceniche proposte da figuranti e cavalieri in costumi d’epoca.

Tali iniziative sono state affiancate dalla produzione di quaderni monografici che, sotto il titolo significativo di “Foglie delle radici”, si propongono di illustrare e documentare singoli temi di ricerca.
L’ultimo di tali quaderni, inserito in un’apposita serie che illustra la nascita del culto dei Santi dell’Ordine Mercedario a Norbello, nella prima metà del XVIII secolo, e l’importanza della famiglia Puddu nella gestione della locale chiesa romanica di Santa Maria e dei relativi beni, tratta un argomento legato specificamente alla storia di tale edificio religioso, conosciuto oggi sotto il titolo di Santa Maria della Mercede.
La ricerca specifica, attivata parecchi anni fa, aveva già consentito di individuare ed acquisire i testamenti con cui, a partire da un certo Giovanni Battista, sacerdote, che materialmente aveva portato dal Convento cagliaritano di Bonaria a Norghiddo una statua della Vergine della Mercede, diversi esponenti della casata norghiddese dei Puddu avevano trasferito nel tempo, dall’uno all’altro, l’onore e l’onere della cura della chiesetta e dell’organizzazione della festa annuale della Mercede nell’ultima domenica di settembre.
Si cercava, però, insistentemente un documento riferito a tali vicende, di cui, peraltro, si conosceva già sia l’esistenza che l’incerta attribuzione ad un tal frate Sotgiu e la giacenza nell’Archivio del Convento Mercedario di Bonaria, a Cagliari.

Già nel 2010, attraverso l’incrocio di diverse verifiche, si era accertata l’inesistenza, almeno in ambito locale e nel periodo corrispondente agli ultimi decenni del secolo XIX, di un frate di tal casato e si propendeva ad individuare il personaggio nel primo rappresentante della importante e conosciuta famiglia Sotgiu/Soggiu che, proveniente da Ghilarza, decise di fissare la sua residenza a Norghiddo.
Mancava peraltro ogni conferma di tale ipotesi, anche perché, per tutto il 2013, il tentativo di accedere all’Archivio del Convento di Bonaria era risultato infruttuoso. Solo verso la metà del 2014, finalmente, è stato possibile acquisire le informazioni necessarie per mettere a punto un ulteriore intervento.
Così, recentemente, la generosa disponibilità dell’amico dr. Roberto Porrà, già Soprintendente Archivistico Regionale ed oggi responsabile dell’Archivio di Bonaria, ha consentito l’acquisizione del documento e, quindi, con la sua lettura la piena conoscenza del testo che si trascrive integralmente, ringraziando vivamente i Padri Mercedari del Convento cagliaritano e puntualizzando che lo stesso si trova all’interno di un volume manoscritto da Padre Francesco Sulis dal titolo Collezione delle notizie rimarchevoli sparse nei vari libri e registri relativi alla Congregazione Mercedaria in Sardegna.

2. Il documento. Giovanni Battista Sotgiu Puddu legatario della chiesa della Mercede

Norbello 1 Agosto 1867
Statua della Vergine della Mercede a Norghiddo ora Norbello
Comune appartenente alla Diocesi d’Oristano

Origine della Statua

Nel secolo passato certo Sacerdote Giovanni Puddu nato nel Comune di Norghiddo, veniva educato in corso degli studi nella Città di Cagliari, e proprio nel Convento dei Mercedari di Buonaria, dove si venera la B. V. della Mercede.
La divozione e l’affetto che il Giovanni Puddu professò all’Augusta Regina fece sì che salito al grado Sacerdotale, essendosi restituito in patria, ove visse, e terminò i suoi giorni alli 26 Maggio dell’anno 1777; si recò seco una Statua della B. V. Maria della Mercede.
Così rimpatriatosi, non declinò la fervente sua venerazione verso l’Augusta Signora. Primo suo desiderio pare fosse quello di trovare un decente albergo alla Statua della Madonna, e questo appunto gli venne offerto nella Chiesetta Filiale posta all’estremità del paese, conosciuta col titolo Chiesa di Santa Maria, dove non si sa che vi esistesse statua di quel titolo quando vi s’insediò quella della Mercede.
Che vi fosse però Simulacro antico della Vergine col titolo di Santa Maria pare di sì, come ne persuade un’iscrizione antica di cui si trascrivono le identiche parole in fine del presente racconto.

Festa annuale

Insediata la Statua della Vergine della Mercede, l’umile Giovanni l’onorò con distinta festa annuale, che si celebrò, e si celebra al presente l’ultima Domenica di Settembre con particolare divozione dei fedeli, e con concorso anche di persone dei vicini paesi, essendo anche ad essi una festa assai nota, e da tutti appellata Festa di Santa Maria. Il Sacerdote Giovanni Puddu celebrò sempre la solennità della festa nella Chiesetta propria, e con suo ultimo testamento del 21 Maggio 1777 ne lasciava l’incarico al suo fratello Antonio Maria, ed in mancanza di esso al Nipote, allora Studente, poi Sacerdote Serafino Puddu.
L’Antonio Maria Puddu poco sopravvisse dopo il fratello Sacerdote, constando d’esser morto ai 28 Ottobre dell’anno 1783; ed ecco che in di lui luogo subentrò il figlio Sacerdote Serafino Puddu, che collo stesso impegno dei suoi cari trapassati, proseguì la festa solenne fino al di lui decesso avvenuto nel 17 Febbraio 1823. Nel vivente del Sacerdote Serafino Puddu, consta che la Chiesetta di Santa Maria andò in notabile decadenza, per cui la Statua della Mercede, veniva ritirata nella Chiesa Parochiale, dove si solennizzò la festa fino al tempo di cui più sotto.
Il Sacerdote Serafino Puddu tramandava il dovere di continuare questa festività dopo la di lui morte alla sorella Maria Maddalena Puddu, come da testamento 26 Gennaio 1823, e questa Donna sebbene resiedesse a Ghilarza, fedele però ai precetti del fratello vi seppe corrispondere con far solennizzare ogni anno la festa della Mercede fino all’anno del di lei decesso avvenuto nel 17 Maggio 1837.
In fine la suddetta Maria Maddalena a seconda dell’esempio dei di lei cari trapassati con testamento 23 Novembre 1836 non dimenticò la Vergine della Mercede, e la continuazione della festa l’ordinò tra gli altri figli a quello di presente residente a Norbello Giovanni Battista Sotgiu Puddu, il quale così con religiosa pompa fa solennizzare ogni anno la festa suddetta. Spiaceva però a costui che la statua della Vergine della Mercede si tenesse in poco conto fuori della propria Chiesetta tuttochè raccolta nella Chiesa Madre; e finalmente nel 1847 riuscì di concerto coll’Egregio Paroco Teologo Demontis e l’Autorità Ecclesiastica a ristaurare il Tempietto, dove da quell’anno si è restituita la Statua, e con solennità, e divozione generale dei fedeli Norbellini si celebra la festività della suddetta Vergine preceduta da divota Novena, con Vespri, Messa Parata, e con le Sante Indulgenze annesse alla festa, e con qualche omaggio di fedeli dei vicini paesi.

Ecco fin qua in breve l’origine della Statua, e la festa annuale della B. V. della Mercede, a Norbello. Qualche cosa rimane a dire sul fatto della Chiesa. D’antenati del Comune si diceva che essi avevano sentito dai loro avi che quel Tempietto appellavasi un tempo Chiesa di Sant’Antonio. Come avesse preso quella denominazione ed in qual epoca s’ignora. A tempo dei Pisani pare che si appellasse così mentre si dice che da qualche scritto di Pisa si accenni distintamente parlando di depositi, una Chiesa di Sant’Antonio in Norghiddo, dove nessuna chiesa è mai esistita di quel Santo.
Però è certo d’altra parte che l’attuale sottoscritto Legatario mentre nel 1847 ristaurava siffatta Chiesetta, fece scendere un piccolo tavolato antichissimo già fracido; colorito in rosso, che stava colloccato sopra la Nichia per ornamento dell’Altare, ed in una tavola, tutta tarlata, di prospetto vi osservò dipinta una fila di confratelli in abito bianco velati da cappuccio, e sotto di essi si era potuta leggere la seguente iscrizione che si riporta colle lettere dello stesso formato sebbene nella tavola fossero più in grande

SA diE EST VIIII dE ARbILE. ANO I5XI EST
fATV CUSTV SVPRACELV dE SA CONfRARIA
dE SANTA MARIA dE SA VILA dE NORCIdO. SENdE
PRIORE YbE. AdAMV dE VILA. E dE ME MASTRV fd

Questo è il più veridico racconto che il sottoscritto intende umile offrire a maggior gloria della SSma Vergine, che col bel titolo della Mercede si ha l’alto onore di venerare divotamente anche in questo piccolo Comune di Norbello.

Il Divoto Legatario
Giovanni Battista Sotgiu

3. Analisi del documento e filoni di ricerca

L’analisi del documento suggerisce alcune considerazioni che appaiono utili e funzionali ad un percorso di composizione progressiva della storia della chiesa di Santa Maria.

1.

Possiamo finalmente confermare, come peraltro avevamo già intuito da tempo, che l’estensore del documento è proprio quel Giovanni Battista Sotgiu Puddu, figlio del notaio Giovannico Sotgiu di Ghilarza e di Maddalena Puddu di Norghiddo, che all’atto del suo matrimonio con Antonica Sini di Abbasanta, tra il settembre del 1835 e la metà del 1836, trasferì la propria residenza nella casa materna, ricoprendo per anni l’incarico di Segretario Comunale e assistendo anche, in tale funzione, alla riunione del Consiglio presieduto dal Sindaco e sacerdote Paolo Mele che, nel 1862, ignorando la diffusa protesta popolare, deliberò la trasformazione del nome del paese da Norghiddo in Norbello.
Lo stesso Giovanni Battista Sotgiu Puddu, come comprovato dal titolo e dalla firma in calce alla sua Relazione, svolse a lungo le funzioni di Legatario e, quindi, di amministratore effettivo dei beni oggetto delle donazioni testamentarie, prima dei sacerdoti Giovanni e Serafino Puddu e poi della stessa sua madre Maria Maddalena Puddu, a favore della chiesa di Santa Maria della Mercede.

2.

L’autore del documento non conferma una conoscenza certa e ravvicinata nel tempo, diretta o indiretta, del fatto che al momento dell’arrivo della statua della Vergine della Mercede esistesse già nell’edificio religioso un’altra statua della Madonna; si limita semplicemente a dichiarare la propria convinzione che effettivamente ci fosse, in considerazione anche del fatto che lui stesso «mentre nel 1847 ristaurava siffatta Chiesetta» rinvenne ed ebbe modo di leggere e di rilevare l’iscrizione del 1511 di cui direttamente riferisce.

3.

Per quanto riguarda l’altare, non vi è dubbio che nel periodo 1844-1847, all’avvio dei lavori di restauro disposti da Giovanni Battista Sotgiu Puddu, fosse ancora quello realizzato nel 1511 (o 1510?) ad opera «dE SA CONfRARIA dE SANTA MARIA», ornato da « … un piccolo tavolato …. colorito in rosso, che stava colloccato sopra la Nichia ….» e raffigurava «una fila di confratelli in abito bianco velati da cappuccio». È infatti evidente la corrispondenza fra il “tavolato” descritto nella Relazione ed il “supracelu” di cui parla l’iscrizione vista e letta direttamente da Gio Battista Sotgiu Puddu e dallo stesso trascritta.
Peraltro, va precisato che, fino ad oggi, era da tutti ignorata la presenza di un’iscrizione sull’altare anche se gli addetti ai lavori conoscevano già e da diversi decenni (per averli avuti direttamente dall’avvocato Piero Soggiu nel 1973) non solo il testo ma anche la rappresentazione grafica dello stesso trasposti (nel 1847 o prima, già dal 1510 o 1511?)su un piccolo foglio di carta che ritenevano provenisse (e forse così è veramente) dall’antico archivio della chiesa di Santa Maria sicuramente arrivato ai Sotgiu/Soggiu attraverso la famiglia Puddu.
Sempre sul tema, pare anche opportuno ricordare che il canonico Michele Licheri, viceparroco di Norbello nel periodo 1876/1883 e immediatamente dopo parroco di Ghilarza, parlando della chiesa ghilarzese di S. Palmerio, scrive, nel suo libro del 1900 dal titolo Ghilarza - Note di storia civile ed ecclesiastica: «gli Altari fino al 1844 erano tre. Il maggiore dapprima era di legno dorato con tre nicchie; ed era quel desso che in quell’anno fu venduto a Norbello, dove tuttodì si vede nella chiesa di S. Maria della Mercede. Era in questo che M.r Sisternes faceva chiudere un buco, per cui il celebrante, vedendo gli oggetti della Sagrestia, poteva andar soggetto alle distrazioni».
Colpisce di tale racconto la stranezza delle tre nicchie, perché l’ultimo altare di Santa Maria, rimosso nel penultimo decennio del secolo scorso per restituire all’edificio la pulizia ed il rigore delle sue forme originarie e ancora esistente sebbene posizionato oggi nella Chiesa Parrocchiale di Norbello dopo un recentissimo restauro, ne ha solo una affiancata da due robuste colonne lignee.
Certo, si può anche immaginare che, nel corso dei lavori effettuati attorno al 1847, l’altare sia stato modificato all’atto del suo inserimento sul fronte absidale della chiesa di Santa Maria, di dimensioni più contenute rispetto a quelle del San Palmerio di Ghilarza. E tuttavia, anche in attesa di conoscere nel dettaglio la relazione sul recente intervento di restauro, grossi dubbi permangono, soprattutto perché la configurazione dell’attuale nicchia, di dimensioni certamente importanti, non avrebbe potuto sopportare gradevolmente la compresenza di altre due nicchie posizionate sui lati.
Siamo certi, peraltro, che i lavori nella chiesa, ripetutamente richiamati, furono effettivamente eseguiti e la conferma è desumibile da una annotazione dei Registri dell’Archivio Parrocchiale che recita: «1847 1 agosto - Benedizione della Chiesa di S. Maria. Nel primo giorno di Agosto del 1847 è stata benedetta la Chiesetta di Santa Maria. Dopo d’essere state ristorata a tenore del Decreto lasciato in visita da Monsignor Bua notato in questo medesimo libro n. 18. In fede. Teologo Domenico Demontis Rettore che prese possesso di questa Parrocchia ai 15 Febbraio 1847 corrente».
Può essere anche ulteriormente aggiunto che un altro intervento venne realizzato, forse, nel 1866, l’anno precedente a quello della stesura della Relazione in esame: lo fa pensare il fatto che sul supporto ligneo, una specie di trespolo artigianale, che regge il busto con la testa della statua della Mercede si legga chiaramente l’indicazione di tale anno.

4.

Anche le diverse date potrebbero avere una loro importanza: l’edificio di culto viene infatti benedetto, dopo i lavori di restauro, il primo giorno d’agosto del 1847 e, molti anni dopo, la Relazione del Sotgiu Puddu riporta la data dell’analogo giorno del 1867: il primo di agosto era, forse, un giorno particolare e significativo per la chiesa di Santa Maria della Mercede? E il 9 aprile 1511 (o 1510?) era forse la domenica di Pasqua o la domenica delle Palme? Perché, se così fosse, il risultato della verifica potrebbe orientare in termini diversificati anche la lettura e l’interpretazione della seconda mandorla della fascia epigrafata.

5.

Il “supracelu” di cui parla l’iscrizione poteva essere un fascione ligneo oppure un semplice pannello o anche una sorta di quadro (come si vede ancora oggi nella parte superiore dell’altare restaurato) formato da un insieme di tavole accostate orizzontalmente e posizionato tra il colmo della nicchia e la volta della chiesa. Lo conferma di fatto il Sotgiu Puddu che parla di «una tavola tutta tarlata» che «di prospetto» portava «dipinta una fila di confratelli in abito bianco velati da cappuccio, e sotto di essi si era potuta leggere la seguente iscrizione che si riporta colle lettere dello stesso formato sebbene nella tavola fossero più in grande SA diE EST VIIII dE ARbILE. ANO I5XI EST fATU CUSTU SUPRACELU dE SA CONfRARIA dE SANTA MARIA dE SA VILA dE NORCIdO. SENdE PRIORE YbE. AdAMU dE VILA. E dE ME MASTRU fd».
Sappiamo così dall’antica iscrizione che l’opera venne realizzata per iniziativa della confraternita di Santa Maria del villaggio di Norghiddo nel lontano 1511 (o 1510?) e sotto il priorato di Adamu de Villa (de Idda - Deidda) e per mano di un mastru (de linna ? de pinzellu? falegname ? pittore?) che, forse, appone anche la sua firma con la sigla biconsonantica finale e fa capire di scrivere in prima persona e di propria mano registrando puntualmente l’avvenimento e rivelandosi, quindi, persona colta ed istruita.

6.

L’iscrizione attesta l’esistenza a Norghiddo, nel 1511 (o 1510?), di una confraternita (confraria) detta di Santa Maria che si fa carico della realizzazione del “supracelu” marchiandolo con l’immagine di “una fila di confratelli in abito bianco velati da cappuccio” e firmandolo col nome del “priore” (Adamu de Villa) e la sigla del “mastru” autore dell’opera (?).
Una interpretazione letterale potrebbe rimandare ad una confraternita fra le tante sorte in Sardegna forse già con l’arrivo dei catalani e poi, sicuramente, nel XV secolo a seguito della penetrazione aragonese e, soprattutto, nel XVI per influsso della controriforma cattolica. Già questo appare di grande rilevanza storica perché SA CONfRARIA dE SANTA MARIA dE SA VILA dE NORCIdO risulterebbe così, in base alla data dell’iscrizione, 1511 (o 1510?), la più antica dopo quella di Suelli (Confraternita di Santa Maria di Gixi 1483) fra quelle conosciute e documentate in ambito sardo nel contesto di territori oltre che marginali anche notevolmente lontani dalle maggiori concentrazioni urbane del relativo periodo storico.
Il fatto veramente strano è, però, che di una confraternita di tal nome non è rimasta a Norbello altra traccia che quella indicata dal Sotgiu Puddu, fatta salva la forzatura (non senza una sua logica ma totalmente priva di supporto documentario) di un suo diretto collegamento con un’altra ancora oggi operante sotto l’intitolazione della Vergine del Rosario. Ricorda infatti Mario Manca, nella sua pubblicazione Da Norghiddo a Norbello. Sviluppo storico di una comunità (Norbello 2006), la strana vicenda che ha coinvolto tale confraternita: « … fino al 1704, anno in cui venne reimpostato il “Libro di amministrazione”, gli affiliati credevano di appartenere alla Confraternita di Santa Croce. In occasione della visita pastorale di quell’anno, si procedette ad una verifica dei registri (che evidentemente non avevano subito attenti controlli in precedenza) e delle bolle di fondazione e risultò che la confraternita era, invece, intitolata alla Vergine del SS. Rosario, sin dalla sua fondazione».

Sul tema, però, è anche possibile rischiare una lettura diversa, facendo riferimento all’affiancamento della chiesa di Santa Maria alla tradizione templare o, comunque, alla presenza a Norghiddo, nel XII e XIII secolo, di figure e maestranze legate in qualche modo alla frequentazione di personaggi direttamente incardinati o almeno prossimi all’Ordine dei Cavalieri del Tempio, sia per le vicende giudicali del limitaneo castello di Sella che per la genesi delle iscrizioni e dei simboli che appaiono nella fascia epigrafata che corre lungo le pareti interne dell’edificio.
Così la raffigurazione della ” fila di confratelli in abito bianco velati da cappuccio” (cavalieri templari? l’abito aveva anche la croce vermiglia di tale Ordine?), stranamente relegata, per secoli, in posizione totalmente defilata e lontana da ogni normale condizione di visibilità (in alto sopra la nicchia, nel supracelu colorato di rosso (!) e realizzata da un mastru/maestro/magister) può far pensare ad una volontà di conservazione e tutela del ricordo della traccia storica, che deve scontare, comunque, la damnatio memoriae, la stessa che le parole e i simboli che si susseguono lungo le pareti laterali hanno sopportato a lungo, rimanendo anch’essi velati da un duplice strato di intonaco fino agli anni ’80 del secolo scorso e non solo fino al 1919 quando pure, forse con piena consapevolezza personale fondata sulla conoscenza di altri documenti d’archivio, l’Arcivescovo di Oristano Ernesto Maria Piovella scriveva nei registri parrocchiali, senza essere peraltro ascoltato: « … Visitata la chiesa di S. Maria della Mercede ne ammirammo la bella costruzione dell’epoca pisana ed il decoro col quale è tenuta. Ordinammo che con cura si levi il calcinaccio che riveste le pietre nell’interno, badando di non distruggere segni ed iscrizioni che si potranno trovare… ».

7.

La Relazione in esame riferisce poi che l’estensore ricordava ancora, nel 1867, il racconto degli anziani di parte materna, di casa Puddu quindi (d’antenati del Comune), che dicevano d’aver «sentito dai loro avi che quel Tempietto appellavasi un tempo Chiesa di Sant’Antonio» e che in qualche carta pisana «si accenni distintamente» a tale titolo parlando di tesori (depositi).
I documenti esistenti e noti testimoniano di una intitolazione della chiesa a Santa Maria già nel XII secolo e poi nel 1511 (o 1510?) e, ancora, dal 1671 (come da testamento di Pietro Paolo Puddu) ad oggi e sembrerebbe, quindi, alquanto strana una modificazione del nome in uno dei due periodi non documentati e intercorrenti fra data e data, col ritorno poi e il recupero del vecchio nome. A meno che non si voglia pensare che dopo la sospensione dell’Ordine del Tempio la damnatio memoriae abbia indotto non solo a coprire d’intonaco (senza rinnegarli e in qualche modo proteggendoli!) i simboli e le iscrizioni presenti ma anche a modificare l’intitolazione originaria, recuperata poi nei secoli successivi. Può anche essere però, molto più semplicemente, che per un certo periodo la chiesa sia stata officiata, con una forte influenza sui fedeli, dai Padri Francescani, peraltro già presenti in zona, a Ghilarza, a Busachi e a Santulussurgiu.
L’annotazione, comunque, incuriosisce soprattutto per tre motivi: perché nel corso degli scavi all’interno della chiesa sono state rinvenute diverse decine di medaglie del francescano Sant’Antonio tra gli scheletri delle antiche sepolture; perché diversi testamenti del 1700 e del secolo successivo evidenziano legami e rapporti ricorrenti con le sedi francescane indicate e con quella di Oristano e anche perché, effettivamente, esistono alcune carte che parlano dell’esistenza di un tesoro all’interno della chiesa.
In stretta relazione si possono citare almeno tre documenti: uno si può leggere tra le carte della famiglia Sotgiu Puddu, un secondo, oggi disperso, si trovava nel periodo 1970-1980 in mano ad una certa famiglia Cossu di Oristano ed un terzo, contenuto all’interno di un libretto manoscritto, risulta ancora nella disponibilità dell’amica e studiosa ghilarzese Maria Manconi Depalmas, autrice del bel volume Il Guilcieri (Iskra Edizioni, Ghilarza). Il primo ed il terzo documento richiamano per la chiesa l’intitolazione a Sant’Antonio; del secondo, invece, nulla sappiamo a tal proposito.
Da ultimo si può ancora aggiungere che sia il punto indicato, anche con una certa precisione, in uno dei tre documenti come sede del tesoro che lo spazio sotto la pedana dell’altare sono stati sicuramente oggetto di scavo clandestino chiaramente evidenziato agli occhi dei fedeli e dei visitatori dalle discontinuità della pavimentazione sul piano di calpestio. Per fortuna gli autori dell’abuso, pensiamo risalente al periodo 1950-1965, si sono fermati all’apparizione dei primi scheletri, senza affondare lo scavo fino alle fondamenta: in caso contrario avrebbero violato e compromesso irrimediabilmente la tomba più importante della necropoli altomedievale (VI-VII secolo) rinvenuta successivamente, sotto e attorno alla chiesa, nel corso degli scavi autorizzati nel periodo 1980-1986 e diretti da Donatella Salvi, che ne ha regolarmente pubblicato i risultati.