di Vincenzo Medde
Quest’anno avete giocato col contadino dalle mani callose come un gatto gioca col topo. Ma guardate chi dekulakizzate! Chi deportate! Sono quelli che lavorano con le loro mani e ora voi li fate morire di fame nei vostri convogli della morte. Da voi, al centro, vi starete senz’altro dicendo: rendiamo la vita talmente impossibile che nessuno si sogni più di pensare, per dei secoli, a un potere sovietico. Ai kulak avete preso tutto grazie ai vostri uomini con la pistola, ma i campi né i kulak né i colcosiani né i contadini individuali li lavoreranno perché, dicono, in autunno il partito-revolver (così da noi viene chiamato il partito comunista) verrà a prendere tutto e deporterà tutti.
Un contadino povero a M.I. Kalinin, presidente del Soviet Supremo, primavera 1930 (in Graziosi 2006: 62).
Indice
1932-1933 IL HOLODOMOR / Parte seconda
1. Carestia terroristica e morte per fame in Ucraina | 2. La specificità nazionale della situazione ucraina | 3. Affamare i contadini per farli diventare buoni comunisti e buoni colcosiani | 4. Un intenzionale sterminio di massa | 5. Disperdere gli intellettuali ucraini | 6. Le tradizionali strategie di sopravvivenza non sono più praticabili | 7. La grande fame e il Holodomor: quattro milioni di morti| 8. Nascondere le tracce | Bibliografia
FU UN GENOCIDIO? / Parte terza
Parte seconda
1932-1933 IL HOLODOMOR
1. Ucraina 1932
1. Carestia terroristica e morte per fame in Ucraina
Anche nelle campagne ucraine crisi alimentare, repressione, resistenza passiva e rivolte si influenzavano reciprocamente, rendendo le condizioni di vita materiale ogni giorno più drammatiche: il deficit alimentare provocava prima la denutrizione e poi patologie mortali, e, insieme, comportamenti abnormi come l’abbandono di minori.
Ma non si dimentichi che nel 1931 lo stato aveva preso ai contadini ucraini il 42% dell’intero raccolto!
Stalin però, forte della sua interpretazione della crisi come complotto contro lo stato sovietico, premuto dalla necessità di pagare le cambiali tedesche, spaventato all’idea di rivolte nelle città affamate, aveva deciso di spremere in ogni caso anche l’impossibile nelle regioni cerealicole e, in particolare, dal “granaio dell’Urss”, l’Ucraina. Così, nel gennaio 1932 Stalin e Molotov inviarono ai dirigenti comunisti ucraini un perentorio telegramma:
«Giudichiamo allarmante la situazione degli ammassi di grano in Ucraina. In base ai dati a disposizione del comitato centrale del partito, i funzionari ucraini stanno decidendo di non eseguire il piano per 70-80 milioni di pudy [1.148mila – 1.311mila t]. Giudichiamo assolutamente inaccettabile e intollerabile una simile prospettiva. Consideriamo vergognoso il fatto che l’Ucraina quest’anno, con un più elevato livello della collettivizzazione e un maggior numero di fattorie statali, fino al primo gennaio abbia portato all’ammasso 20 milioni di pudy meno dell’anno passato. Di chi è la colpa? Dell’elevato livello della collettivizzazione oppure del basso livello nella direzione della campagna degli ammassi? […] il piano deve essere completato interamente e incondizionatamente»( cit. in Cinnella 2015: 142; Ivnitskij 2004: 78).
Nel febbraio-marzo 1932 l’OGPU informava i leaders moscoviti che in Ucraina in alcuni luoghi si avvertiva la mancanza di cibo e Kosior, primo segretario del Partito comunista ucraino, in una lettera a Stalin del 26 aprile, negando che si potesse parlare di carestia, di fatto ammetteva la diffusione di voci che invece ne affermavano la realtà, concedendo che si trattava di pochi villaggi dove si soffriva la fame, causata dagli «eccessi e deviazioni di agenti locali che si sono spinti un po’ troppo lontani nell’ultima campagna di raccolta».
2. Ai contadini l'Ogpu non lascia neppure un secchio di cereali
Ma nel corso delle settimane seguenti la situazione si aggravò a tal punto che Petrovskij (presidente dei soviet ucraini) e Čubar’ (capo del governo ucraino) il 10 giugno decisero di inviare ciascuno una lettera a Stalin e Molotov chiedendo il primo 24.000 e il secondo almeno 16.000 tonnellate di cereali per far fronte all’emergenza della carestia e della fame. Čubar’ avvertiva: «In almeno 100 distretti (contro i 61 del mese di maggio) vi è un’emergenza alimentare… Ho visitato diversi villaggi e ho visto dappertutto gente affamata … Le donne piangevano, e anche gli uomini». Petrovskij e Čubar’ mettevano in guardia contro il pericolo che i contadini esausti non avrebbero potuto lavorare la terra e che il raccolto del 1932 sarebbe potuto essere catastrofico.
Tali segnalazioni e richieste rimasero senza risposta, anzi Molotov in una riunione il 12 giugno dichiarò: «Anche se oggi dobbiamo far fronte allo spettro della carestia, soprattutto nelle zone cerealicole i piani di raccolta devono essere a qualsiasi costo completati». Stessa determinazione espresse Stalin una settimana più tardi. E il 21 giugno entrambi, Stalin e Molotov, inviarono un telegramma ai dirigenti ucraini per ribadire che non sarebbe stata tollerata nessuna riduzione né alcuna dilazione delle consegne stabilite; l’Ucraina doveva versare allo stato quasi sei milioni di tonnellate di cereali.
3. Per le strade di Karkhov si muore di fame
In una assemblea di segretari distrettuali e regionali ucraini del 6-10 luglio, la maggioranza degli intervenuti dichiararono che i piani di ammasso imposti da Mosca erano irrealizzabili; ciononostante, ratificarono il piano per il 1932, costretti dalla violenta reazione di Molotov e Kaganovič, inviati di Stalin, i quali minacciarono di considerare le idee dei delegati come anti-partito e anti-bolsceviche.
Ma a fine luglio, invece dei sei milioni, erano stati consegnate appena 48.000 tonnellate di cereali!
Il 7 agosto 1932 venne promulgata una legge che puniva «ogni furto o dilapidazione della proprietà socialista» con dieci anni di campo di concentramento o con la pena di morte. Tale legge era conosciuta dai contadini come “legge delle spighe” perché si poteva essere condannati per essersi appropriati, per fame, anche di poche spighe dovute allo stato. Grazie a questa legge, fra l’agosto del 1932 e il dicembre del 1933, furono condannate oltre 125.000 persone, 5400 delle quali a morte.
Ma, a metà ottobre 1932 il piano di ammasso nelle regioni più fertili aveva raggiunto, nel caso migliore, appena il 20% dell’obbiettivo. Eppure, osserva Nikolaj Ivnitskij, «Anche il raccolto del 1932 sarebbe stato sufficiente ad allontanare la fame su larga scala, se la politica degli ammassi e delle tassazioni fosse stata condotta diversamente» (Ivnitskij 2004: 76).
Il 22 ottobre 1932 Molotov venne inviato in Ucraina con il compito di riorganizzare la requisizione dei cereali. L’inviato di Stalin individuò la causa del fallimento degli ammassi nell’atteggiamento delle organizzazioni di partito, dei colcos, dei soviet che non avevano profuso il necessario impegno per far rispettare il piano delle consegne definito da Mosca. Molotov mise altresì in evidenza la mancanza di volontà e di iniziativa dei tribunali nella lotta contro i furti, gli sprechi e gli occultamenti del grano, mentre era necessario e urgente reprimere velocemente e punire in modo spietato i responsabili della conduzione lassista dei colcos; manifestazioni e atteggiamenti di debolezza o passività «saranno considerati dal Comitato centrale del Partito comunista bolscevico di Ucraina come la peggior forma di marcio liberalismo, intollerabile in un partito bolscevico».
Poco fidandosi degli organismi locali, per rafforzare l’opera di repressione e di requisizione Molotov mise in piedi una vera e propria campagna militare, impegnando oltre a reparti dell’OGPU centinaia di comunisti-lavoratori richiamati dalle città e dai centri industriali per essersi «dimostrati nelle campagne politiche d’assalto dei veri bolscevichi». Per buona misura tali comunisti-lavoratori vennero ulteriormente incentivati con la minaccia di severe punizioni per coloro i quali non avessero segnalato sprechi e sabotaggi.
I colcos che non avessero completato i piani di ammasso prestabiliti dovevano pagare delle multe in natura pari a 15 volte la normale quota di consegna, ciò che non contribuiva certo, in quella situazione di penuria, a lenire la fame dei contadini. Tali colcos non vennero più riforniti di merci e quelle presenti furono rimosse da negozi e magazzini, mentre veniva sospeso ogni tipo di commercio.
Il 23 novembre 1932 Mendel Khataevich, primo segretario della regione di Dnipropetrovsk, scrisse a Molotov cercando di farlo ragionare: se ai contadini prendiamo anche il necessario, non ci sarà più nessuno che semini e raccolga i cereali di cui abbiamo bisogno. Molotov rispose che erano considerazioni non bolsceviche, perché un vero bolscevico mette al primo posto le esigenze dello stato, non quelle dei contadini.
Nel Kuban ucraino a fine novembre 1932 tutti gli abitanti di tre grosse comunità (Medvedovskaia, Oumanskaia e Poltavskaia), 45.000 persone, furono tutte deportate in Siberia, negli Urali e nel Kazakstan, come punizione per non aver completato gli irrealistici piani di ammasso che erano stati loro imposti da Mosca.
Il 10 dicembre 1932 Stalin giudicava ancora insoddisfacenti gli ammassi in Ucraina, dove, in qualità di inviati con poteri straordinari vennero allora inviati due dei massimi dirigenti bolscevichi, Kaganovič e Postyšev. Qualche giorno dopo venne presa la decisione di «sradicare i sabotatori degli ammassi in maniera decisiva per mezzo dell’arresto, della reclusione a lungo termine in campi di concentramento, non esitando ad applicare la più elevata misura di punizione». A fine dicembre furono deportate a Nord 800 famiglie. Ma era solo l’inizio. Solo nella regione del Donetsk da settembre 1932 a ad aprile 1933 furono condannate 9.286 persone, 300 delle quali furono fucilate. Tra i condannati 1636 colcosiani, 3461 contadini autonomi, 1560 “elementi non lavorativi”, 552 impiegati (Ivnitskij 2004: 82-89).
4. Contadini in fuga dalla fame
Chi era senza pane, singoli e famiglie, cercò scampo alla morte per fame andando e mendicare nelle città o fuggendo nelle ragioni più a nord non funestate dalla carestia. Stalin vide in tale esodo un attacco anticomunista che doveva in ogni modo essere bloccato; il 22 gennaio 1933 emanò pertanto un documento segreto secondo la quale vi erano prove che: «tale esodo dall’Ucraina è stato organizzato dai nemici del potere sovietico, i socialisti-rivoluzionari, gli agenti della Polonia. Il loro obbiettivo è fare propaganda, usare la fuga verso le regioni sovietiche a nord per screditare il sistema dei colcos, in particolare, e il sistema sovietico in generale» (cit. in Werth 2008: 5).
Il giorno stesso Jagoda, il capo dell’OGPU, ordinò ai suoi subordinati ucraini di organizzare speciali pattuglie per sorvegliare strade e stazioni e per bloccare i fuggiaschi: i kulak, i controrivoluzionari, quelli che raccontavano di problemi alimentari, quelli che rifiutavano di tornare nei propri villaggi dovevano essere arrestati e deportati negli “insediamenti speciali” o, nei casi di recidiva, rinchiusi nei campi di lavoro forzato. Gli altri dovevano essere rispediti a casa e abbandonati al loro destino di affamati. Ulteriori provvedimenti vennero presi per vietare la vendita di biglietti ferroviari ai contadini e la concessione dei documenti necessari per spostarsi da una località all’altra. 25.000 fuggiaschi vennero fermati nell’ultima settimana di gennaio, 225.000 nei primi due mesi di applicazione delle norme anti-esodo, l’85% dei quali venne rimandato nei villaggi a morire di fame.
2. La specificità nazionale della situazione ucraina
Ma i contadini ucraini agli occhi di Stalin, oltre a non voler consegnare i cereali, erano anche colpevoli di costituire la base sociale delle aspirazioni nazionali della Repubblica socialista sovietica dell’Ucraina. La rivoluzione di febbraio e quella d’ottobre avevano risvegliato il sentimento nazionale ucraino e nel 1923 il XII Congresso del partito aveva concesso una politica di “indigenizzazione” per le nazionalità non russe, che suggeriva di far passare le idee sovietiche attraverso la cultura e le lingue delle diverse nazionalità che componevano l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche; così le politiche nelle singole repubbliche avrebbero potuto essere nazionali nella forma e socialiste nei contenuti.
I comunisti ucraini, che avevano preso molto sul serio l’indigenizzazione, favorirono una politica di differenziazione e autonomia dalla lingua e dalla cultura russe e di avvicinamento a modelli occidentali, mentre la lingua e la cultura ucraina conoscevano una vera e propria rinascita e diffusione. Così, all’inizio degli anni Trenta, mentre l’ucraino diventava la lingua veicolare e centinaia di scrittori pubblicavano nella lingua nazionale, gli Ucraini, sempre più spesso, dirigevano le loro industrie, i loro giornali e le loro università.
Per di più, secondo Stalin, in Ucraina, favoriti dalla lunga frontiera con l’infida Polonia, operavano agenti polacchi capaci di stabilire contatti estremamente pericolosi anche con i comunisti locali, per cui la guerra contro i ribelli contadini veniva a fondersi con la lotta contro la pericolosa ucrainizzazione e il “nazionalismo piccolo-borghese”.
Non stupisce dunque che già l’11 agosto 1932, malgrado la recente firma del patto di non aggressione sovietico-polacco, Stalin avesse scritto a Kaganovič una lettera dove commentava diffusamente e in tono assai preoccupato le notizie che a Mosca arrivavano dall’Ucraina:
«Ora la cosa più importante è l’Ucraina. La situazione in Ucraina è molto brutta ed è brutta quella del partito. Dicono che in due regioni, Kiev e Dnipropetrovsk, circa cinquanta comitati di distretto si sono pronunciati contro il piano di raccolta perché irrealistico. Le cose non vanno meglio negli altri comitati di distretto. Che cosa vuol dire? Non è più un partito, è un parlamento, una caricatura di parlamento. Invece di comandare, Kosior è rimasto a manovrare tra le direttive del Comitato centrale del partito e le richieste dei comitati di distretto. Ora è con le spalle al muro. Va male anche con i soviet. Čubar’ non è un leader. Non va bene neppure la GPU. Redens non è in grado di condurre la lotta alla contro-rivoluzione in una repubblica così vasta e particolare come l’Ucraina. Se non ci facciamo carico di rimetterla in riga, possiamo perdere l’Ucraina. Tieni presente che Pilsudski non se ne sta con le mani in mano, la sua abilità spionistica in Ucraina è molto più consistente di quanto Redens e Kosior non immaginano. E ricorda che nel Partito comunista ucraino (500 000 membri, ha, ha!) ci sono non pochi (no, non pochi!) tipi marci, consapevolmente o inconsapevolmente “petljuristi”, come pure agenti diretti di Pilsudski. Non appena le cose peggioreranno, quegli elementi non esiteranno ad aprire un fronte dentro il partito (e fuori), contro il partito. Il peggio è che i leaders ucraini non si curano di tali pericoli. … L’Ucraina il più presto possibile deve trasformata in una vera fortezza dell’URSS, in una repubblica veramente esemplare. Non risparmiare nessuno sforzo. Se non prendiamo tali misure (rafforzamento economico e politico, prima di tutto nei distretti di confine, ecc. …), rischiamo di perdere l’Ucraina» (Cit. in Werth 2008: 2-3; Graziosi 2004, Le carestie: 19).
Stalin era dunque assai preoccupato per l’Ucraina, non perché la carestia imperversava, ma perché costituiva, a suo modo di vedere, l’anello debole delle repubbliche sovietiche; inoltre, non aveva dimenticato che due anni prima lungo la frontiera polacca il governo aveva perso il controllo di circa cento distretti ucraini e che nel solo mese di marzo 1930 proprio in Ucraina si erano verificate più di 3000 rivolte di contadini contro la collettivizzazione.
3. Affamare i contadini per farli diventare buoni comunisti e buoni colcosiani
È in questo contesto – caratterizzato dalla carestia, dalle requisizioni forzate anche delle riserve alimentari minime, dalla repressione e dalla deportazione dei contadini, dai timori di una possibile perdita dell’Ucraina – che Stalin, nella seconda metà del 1932, prese la decisione di utilizzare la carestia che non aveva espressamente voluto, ma che era la conseguenza diretta delle politiche economiche sociali sovietiche – industrializzazione accelerata, collettivizzazione forzata, liquidazione dei kulak – per dare una lezione ai contadini che resistevano al potere comunista e che costituivano la base sociale del nazionalismo ucraino. Si trattava di piegare definitivamente la resistenza nelle campagne ed eliminare ogni velleità autonomistica della Repubblica Ucraina.
5. Per le strade di Karkhov si muore di fame
Per la verità, all’inizio del 1933 si pensò di affrontare la questione ucraina con i tradizionali sistemi repressivi; furono infatti approntati diversi piani di deportazione di massa: un milione verso il Kazakstan e un milione verso la Siberia Occidentale. Il 13 febbraio Jagoda e Berman (responsabile del Gulag) sottoposero a Stalin un piano dei costi della deportazione: 1,4 miliardi rubli, una spesa enorme, che Molotov ritenne parecchio esagerata, suggerendo, in ogni caso, di far ricadere tali spese sui deportati. Il 15 giugno gli obbiettivi del piano furono ridotti a 550.000 deportati. Secondo Michael Ellmann, storico dell’Università di Amsterdam, questa drastica riduzione fu dovuta alla scelta di Stalin di utilizzare un sistema di eliminazione degli elementi antisovietici decisamente meno costoso della deportazione: la morte per fame nei villaggi. (Ellman 2007: 665-668)
4. Un intenzionale sterminio di massa
Per dimostrare che affamare fino alla morte i contadini ucraini fu anche una scelta intenzionale e non solo una conseguenza indesiderata, gli storici hanno messo in evidenza i seguenti elementi.
- La morte per fame colpì molto più duramente in Ucraina, uno dei centri cerealicoli, che nel resto del paese. Dei sei-sette milioni di vittime della carestia nel 1931-1933, 3,5-3,8 morirono in Ucraina. Il tasso di mortalità annuo per mille abitanti nelle campagne, fatto pari a 100 il dato relativo al 1926, saltò a 188,1 nel 1933 nell’intero paese. Ma in quello stesso anno esso era pari a 138,2 nella Repubblica russa e a 367,7, vale a dire quasi il triplo, in Ucraina.
- Stalin, pur informato della situazione catastrofica nelle campagne ucraine, rifiutò di diminuire per tempo e nella misura necessaria gli esorbitanti prelievi statali sul raccolto, con risposte sprezzanti: «Ci avevano detto che voi, compagno Terekhov, siete un bravo oratore. Risulta che siete un bravo narratore: avete inventato una simile favola sulla carestia pensando che noi ci saremmo spaventati, ma non funziona! Sarebbe meglio per voi lasciare il ruolo di segretario del Comitato regionale e del TsK KP(b)U e andare a lavorare alla Unione degli scrittori; voi scrivereste favole e gli stupidi le leggerebbero» (Conquest 2004: 277-78, 374).
- I piani di ammasso furono portati a termine, anche a costo di privare le famiglie contadine del minimo per sopravvivere e per seminare.
- I contadini furono costretti a rendere gli anticipi in natura sul nuovo raccolto che avevano appena ricevuto in pagamento del lavoro svolto.
- Furono vietati l’importazione di manufatti e prodotti alimentari e gli scambi commerciali tra i colcos che non avevano rispettato i piani di ammasso.
- Ai contadini furono imposte delle multe in natura, per pagare le quali dovettero privarsi anche di quel che restava di carne e patate. Solo in Ucraina e nel Kuban «dopo il sequestro del grano, lo stato stalinista tolse ai contadini anche tutti i generi alimentari che servivano per sopravvivere fino al prossimo raccolto». (Kul’chyts’kyj 2004: 444)
- Furono ritirati tutti i beni che si trovavano nei negozi locali.
- I funzionari locali del partito e dei colcos che mostravano anche un’ombra di comprensione per le famiglie affamate furono arrestati, deportati, fucilati.
- Durante la carestia villaggi interi furono deportati in regioni lontane e inospitali.
- Il 27 dicembre 1932 venne introdotto l’obbligo del passaporto interno e della registrazione dei residenti urbani allo scopo di limitare l’esodo rurale. I contadini, che non potevano utilizzare liberamente il nuovo documento d’identità, custodito negli uffici dei colcos, ridiventarono così servi della gleba, cui era vietato di spostarsi e trasferirsi liberamente in città.
- Non ebbero più scampo neppure quei contadini che fossero riusciti a fuggire dalla campagna e a trovar lavoro in città, perché la normativa segreta del 14 gennaio 1933 li escluse dal diritto di ricevere i documenti personali, senza i quali era impossibile vivere legalmente nei centri urbani.
- Ai contadini affamati venne vietato di lasciare i propri villaggi e furono bloccate tutte le vie di fuga verso le città e le regioni limitrofe, mentre chi riusciva a fuggire veniva ricondotto a forza nel luogo da cui era fuggito. Molti contadini che abitavano nelle zone di frontiera vennero uccisi mentre tentavano di rifugiarsi in Polonia e Romania.
- Fu vietato vendere liberamente i biglietti ferroviari.
- «Nel 1933 la dirigenza staliniana non distribuì nemmeno un grammo delle riserve di grano del fondo del paese (1 997 000 tonnellate) per i bisogni della campagna. Non è difficile intuire che se nella prima metà del 1933, al culmine della fame, questo grano fosse stato dato agli affamati nella misura della norma semestrale per persona di 100 kg, almeno, sarebbe bastato a 20 milioni di persone per non morire di fame» (Kondrashin 2004, 70). Vale anche la pena rilevare che nel 1932 l’Urss aveva esportato 1 730 000 tonnellate di cereali e 1 680 000 nel 1933.
- La carestia e i suoi effetti furono nascosti in Urss e all’opinione pubblica internazionale, sicché non fu possibile fare appello alle organizzazioni di soccorso all’estero, come era accaduto per la carestia del 1921-22, quando l’ARA (American Relief Administration) ed altri enti riuscirono a sfamare (maggio 1922) 10 milioni di persone al giorno.
- Venne vietato di soccorrere in qualsiasi modo gli affamati o di dar loro del cibo. Un soldato ha raccontato che quando il treno che trasportava i militari entrò in territorio ucraino, lui e i suoi compagni dettero del cibo ai contadini che li imploravano; ma questo costò loro la denuncia del capotreno e le sanzioni disciplinari del comandante. Un medico ha riferito che ad una riunione di medici a Kiev era giunto l’ordine di non prestare alcuna assistenza sanitaria ai contadini entrati illegalmente in città.
5. Disperdere gli intellettuali ucraini
Stalin riteneva che il processo di ucrainizzazione, che aveva contagiato profondamente anche il partito comunista, si fosse trasformato in effetti in nazionalismo con il contributo degli intellettuali attivi in molti settori della vita civile ucraina, diventando così «il pericolo principale» (cit. in Shapoval 2004: 130). Oltre alle misure economiche incardinate sull’uso terroristico della carestia e indirizzate a piegare i contadini, vennero adottate perciò una serie di misure repressive mirate a disperdere gli intellettuali che avevano culturalmente alimentato e consolidato l’autonomismo ucraino.
Vi era un comunista che impersonava alla perfezione il ruolo di cavallo di troia dell’”inclinazione nazionalista”, specie nell’ambito culturale e linguistico, Mykola Skrypnyk, Commissario popolare dell’istruzione della Repubblica socialista sovietica ucraina. Sempre attento agli Ucraini fuori dei confini della repubblica, aveva chiesto di annettere dei territori russi dal punto di vista amministrativo, ma abitati prevalentemente da Ucraini; aveva partecipato alla preparazione di una nuova edizione della grammatica ucraina; sosteneva apertamente che la l’arte e la letteratura ucraine non avevano nulla da invidiare a quelle russe.
Nell’aprile 1933 Skrypnik fu messo sotto accusa sulla stampa e all’interno degli organismi dirigenti del partito comunista ucraino secondo una regia e una strategia guidata dall’inviato di Stalin Postyšev. Su una rivista vennero elencate le accuse a Skrypnyk: non ha lottato contro, anzi ha sostenuto l'azione di sabotaggio sul fronte linguistico – in special modo «nella forma grammaticale e nella acquisizione delle parole straniere» –, tramite un lavoro mirante a separare la lingua ucraina dalla lingua russa, avviando così la prima «su strade borghesi-nazionaliste». Bisognava dunque «bloccare la pubblicazione di tutti i dizionari; rivedere i dizionari e tutta la terminologia; condurre l’unificazione della terminologia tecnica con la terminologia presente nell’Unione Sovietica; rivedere la grammatica ucraina; seguire strade davvero bolsceviche, così come ci ha insegnato il compagno Lenin, così come ci insegna il compagno Stalin» (cit. in Shapoval 2004: 126-127). Tra giugno e luglio il Politbyuro del partito comunista ucraino discusse di un documento in cui Skrypnyk doveva ammettere tutti i propri errori. Il 7 luglio, allontanatosi da una seduta in corso, Skrypnyk si suicidò sparandosi. L’uomo non c’era più e, dunque, per Stalin, neppure il problema.
L’intervento repressivo contro la cultura ucraina si sviluppò su un fronte molto vasto. Venne preso di mira l’intero sistema dell’istruzione, della cultura e della scienza, epurando, licenziando e sostituendo spesso l’intera dirigenza dei più importanti istituti culturali e scientifici dell’Ucraina: il commissariato dell’istruzione e quello della giustizia, l’ufficio editoriale dell’Enciclopedia sovietica ucraina, la Camera dei pesi e delle misure, lo studio cinematografico, i musei e le biblioteche di molte città, l’Istituto di cultura ucraina, l’Istituto di diritto sovietico, l’Accademia delle scienze, l’Istituto di linguaggio scientifico, l’Istituto di filosofia, l’Istituto di ricerche pedagogiche. Furono licenziati 4 mila insegnanti e 210 professori universitari.
L’accusa era quella di aver sostenuto il «nazional-fascismo ucraino», di far parte di una presunta «Organizzazione militare ucraina» scoperta all’inizio del 1933, di aver contribuito alla crisi agricola, di aver contribuito a sabotare la campagna degli ammassi, di aver attivamente perseguito l’obbiettivo di allontanare l’Ucraina dalla Russia, dalla sua lingua e dalla sua cultura.
Nel 1932-33 si era dunque abbattuta «un'ondata di terrore antiucraino che già presentava alcuni dei tratti che avrebbero di lì a poco contraddistinto le “operazioni di massa” del Grande terrore del 1937-38. Finiva così, col suicidio di leader importanti come Skrypnyk, e di scrittori come Chvyl'ovy, e con la repressione di migliaia dei suoi quadri, l'esperimento nazionalcomunista generato dalla guerra civile» (Graziosi 2004, Le carestie: 24).
6. Le tradizionali strategie di sopravvivenza non sono più praticabili
È necessario considerare che, se nel corso dei secoli la carestia aveva devastato più volte le campagne russe e ucraine, nel 1932-33 collettivizzazione, dekulakizzazione, requisizioni, volontà di Stalin di fiaccare la resistenza nelle campagne impedì ai contadini di mettere in atto le tradizionali strategie di sopravvivenza che avevano sperimentato nel tempo.
6. Figlia di contadini
Quando la fame imperversava una tradizionale e importante riserva per la sopravvivenza era costituita dagli orti e dai giardini individuali dai quali ricavare il minimo per vivere. Ma negli anni 1932-33 lo stato sovietico confiscò anche questi magri mezzi e proventi come punizione per non aver rispettato i piani di lavoro e di ammasso nei villaggi.
Un’altra via di sopravvivenza per i contadini era quella di allontanarsi dalle zone più colpite dalla carestia alla ricerca di un luogo e di un lavoro, anche temporaneo, che consentisse loro di superare i momenti più difficili. Ma nel 1932-33 questa via era preclusa perché il governo aveva messo in atto i più brutali sistemi di contenimento per impedire ai contadini affamati di abbandonare i villaggi, riportandoveli anzi, se mai fossero riusciti a fuggire, perché vi restassero a morire. E Mosca sembrava preoccupata più che per la fame per gli effetti che la fuga di migliaia di contadini ucraini nelle regioni limitrofe della Russia e della Bielorussia poteva produrre, come rilevava l’OGPU: «I fuggiaschi hanno un effetto demoralizzante sui colcosiani per i loro discorsi: – Abbiamo mangiato i cavalli e i cani, capiterà anche a voi la stessa cosa. Noi abbiamo avuto un raccolto discreto, ma siamo stati collettivizzati prima di voi e ci hanno raggirati» (cit in Kondrashin 2004: 58).
In passato, quando la siccità abbatteva il raccolto, i contadini nei primi mesi estivi vendevano il bestiame per non doverlo nutrire e riservare così il poco grano rimasto solo all’alimentazione della famiglia. Ma nel 1932-33 i contadini non disponevano più degli animali che erano stati o macellati o messi in comune nei colcos, mentre le mucche erano state decimate dalla mancanza di foraggio.
Anche chiedere la carità poteva essere in tempi di carestia una possibile alternativa alla morte per fame, ma nel 1932-33 il governo represse violentemente ogni tentativo di chiedere aiuto; venne persino vietato agli operai della città, ai militari e agli abitanti tutti delle zone vicine di condividere le loro razioni con i contadini affamati.
7. La grande fame e il Holodomor: quattro milioni di morti
A questo modo venne organizzata e utilizzata la grande fame, che si trasformò presto in una disperata e drammatica ricerca di cibo. Esaurite scorte e riserve, si arrivò a ingurgitare di tutto: radici, corteccia degli alberi, resti della concia, stringhe di cuoio, fieno bollito. Si arrivò alla follia disperata della necrofagia e del cannibalismo.
Il 12 marzo 1933 il capo della GPU di Kiev comunicava a Balickij: «Si può anche dire che il cannibalismo sia diventato un’abitudine. Alcuni sospettati di cannibalismo lo scorso anno ci riprovano ancora e uccidono per istrada bambini, conoscenti ed estranei. Nei villaggi colpiti dal cannibalismo, ogni giorno che passa rafforza la convinzione popolare che sia tollerabile mangiare carne umana. Tale idea è largamente diffusa tra gli affamati e i bambini» (cit. in Werth 2008: 6)
Ma il personale medico imparò a distinguere tra “kannibalizm” (cibarsi dei nemici uccisi durante il pasto cerimoniale), “trupoedstvo” (cibarsi della carne di bambini e stranieri già morti per fame), “lyudoedstvo” (uccidere per cibarsi dei corpi degli uccisi) (Merridale: 237).
Migliaia di contadini affamati e disperati riuscirono ad eludere i posti di blocco per arrivare nelle piccole e grandi città dell’Ucraina, dove, non trovando né lavoro, né cibo, né riparo, sopravvivevano per qualche giorno gonfi e pelle e ossa, per poi morire nelle strade, da dove venivano raccolti cadaveri e portati via ammonticchiati su camion.
La testimonianza del console italiano a Kharkov, nel cuore di una regione fra le più colpite dalla carestia:
«Da una settimana è stato organizzato un servizio per raccogliere i bambini abbandonati. Infatti, oltre ai contadini che affluiscono alla città perché in campagna non hanno più speranza di sopravvivere, ci sono i bambini che erano stati portati qui e sono stati poi abbandonati dai genitori, tornati ai loro villaggi per morire. Sperano che in città qualcuno si prenda cura della loro prole. ... Da una settimana gli dvornik [portinai] in camicia bianca sono stati mobilitati, e pattugliano la città per portare i bambini nel più vicino posto di polizia. ... Verso mezzanotte cominciano a trasportarli, sui camion, fino alla stazione merci di Severo-Donec, dove riuniscono anche i bambini trovati nelle stazioni e sui treni, le famiglie di contadini, gli anziani rimasti isolati, tutti quelli che hanno rastrellato in città durante la giornata. C'è del personale medico ... che fa la «selezione». Quelli che non si sono ancora gonfiati e hanno qualche probabilità di sopravvivere sono avviati ai baraccamenti di Holodnaja Gora, dove agonizza una popolazione di circa 8000 anime, essenzialmente bambini, stesi sulla paglia, nei capannoni. ... Quelli che si sono gonfiati sono trasportati con i treni merci in aperta campagna, e abbandonati a 50-60 chilometri dalla città, in modo che muoiano senza essere visti da nessuno. ... All'arrivo nel luogo stabilito, si scavano grandi fosse e si tolgono dai vagoni tutti i morti» (cit. in Werth 1998: 152).
Il 12 marzo 1933 un poliziotto così descriveva la situazione a Kiev: «In città negli ultimi tempi vengono raccolti, ogni giorno, decine di cadaveri, oltre a decine di persone sfinite, di cui una parte muore in ospedale. A gennaio sono stati raccolti 400 cadaveri, 518 a febbraio, 248 a marzo in otto giorni».
Nel giugno del 1933 un medico così informava le massime autorità sanitarie dell’Ucraina:
«Per dirla in breve, nei villaggi e nelle cittadine è tutto un orrore. La miseria è inaudita, permanente la fame di massa, massiccia la mortalità per fame. Il 30% circa degli abitanti dei villaggi è sfinita per la fame o tumefatta. La natalità è ridotta ai minimi termini. Il cannibalismo e la necrofagia sono diventati un fenomeno diffuso. Nei villaggi quasi non si vedono né cani né gatti: sono stati tutti divorati. La criminalità è cresciuta a livelli incredibili. La fame porta a delitti di cui prima non si sentiva parlare… Solo nel 1932 dal distretto di Zvenigorodka sono fuggite nelle varie parti dell’URSS più di 10.000 persone… Tra i funzionari e gli attivisti è molto diffusa la “teoria”, politicamente nociva, che la colpa della fame è degli stessi affamati: non hanno voluto lavorare ‒ si dice ‒ e, se è così, che crepino pure, non ce ne dispiace. Se son questi gli umori di coloro che devono combattere la carestia, è chiaro che non possono esservi risultati tangibili nella loro attività contro la carestia» (cit. in Cinnella 2015: 242).
Così i morti per fame, esito delle politiche economiche e sociali di Stalin, dall’autunno del 1932 alla primavera del 1933 si contarono a milioni. Certo, come è stato osservato, la carestia e la fame fecero milioni di morti in tutta l’Urss e non solo in Ucraina, ma qui l’ecatombe fu più intensa che altrove proprio a causa della volontà di Stalin di approfittare dell’occasione per dare una lezione definitiva agli Ucraini. Uno studioso ha rilevato: «Le città di Kharkov e di Belgorod distano solo 35 chilometri l’una dall’altra, eppure il distretto di Kharkov è uno dei territori devastati dalla carestia, mentre in quello di Belgorod, russo, non si è registrato un tasso di mortalità eccezionale» (Brunetau 2005: 115).
E Andrea Graziosi ha così riassunto i dati della catastrofe umana in Urss e Ucraina:
«L’intensità, il corso e le conseguenze del fenomeno [morte per fame], che nuovi studi e documenti ci permettono di analizzare, furono indiscutibilmente, e sostanzialmente, diversi in differenti regioni e repubbliche. Dei sei-sette milioni di vittime (i demografi oggi imputano al 1930-31 una parte delle morti prima messe in conto ai due anni successivi) 3,5-3,8 morirono in Ucraina; 1,3-1,5 in Kazakstan (dove la mortalità raggiunse il suo picco in termini relativi, sterminando il 33-38% dei kazaki e l’8-9% degli europei); e centinaia di migliaia nel Caucaso settentrionale e, in misura minore, nel medio e basso Volga, dove l’area più colpita coincise in larga parte con la repubblica autonoma tedesca (poi definitivamente sciolta nel 1941).
Il tasso di mortalità annuo per mille abitanti nelle campagne, fatto pari a 100 il dato relativo al 1926, saltò a 188,1 nel 1933 nell’intero paese. Ma in quello stesso anno esso era pari a 138,2 nella Repubblica russa (che pure includeva allora tanto il Kazakstan che il Caucaso settentrionale), e a 367,7, vale a dire quasi il triplo, in Ucraina. Qui l’attesa di vita alla nascita precipitò nel 1933 dai 42,9 anni per gli uomini e 46,3 per le donne del 1926, a rispettivamente 7,3 e 10,9 (essa sarebbe stata di 13,6 anni per gli uomini e 36,3 per le donne nel terribile 1941, che si rivela così però meno terribile del 1933). Sempre in Ucraina il 1.153.000 di nascite verificatosi in media nel 1926-29, scese a 782.000 nel 1932 e precipitò a 470.000 nel 1933» (Graziosi 2004, Le carestie: 16-17).
8. Nascondere le tracce
Diversamente da quanto era accaduto in occasione della precedente carestia del 1921-22, questa volta il governo sovietico non solo rifiutò ogni aiuto, ma fece di tutto per occultare, in patria e all’estero, l’immane tragedia che si stava consumando nella sostanziale indifferenza delle autorità. Così, il 16 febbraio 1933, quando oramai i contadini morivano a migliaia di fame, fu emanato l’ordine: «È categoricamente vietato a qualunque organizzazione tenere la registrazione dei casi di gonfiore e di morte per fame, tranne che agli organi dell’OGPU», mentre alle autorità di villaggio si fece divieto di indicare la causa negli atti morte (cit. in Ivnitskij 2004: 90).
Il 22 marzo 1933Balickij, capo della GPU ucraina, istruiva i suoi subordinati: «Dare informazioni circa i problemi alimentari solo ai primi segretari dei comitati regionali del partito e solo oralmente, dopo aver accuratamente verificato i resoconti. Questo per evitare che note scritte possano circolare nell’apparato, dove possono provocare delle chiacchiere… Non scrivere specifici resoconti per la GPU ucraina. È sufficiente che io sia personalmente informato tramite lettere personali indirizzate a me personalmente» (cit. in Werth 2008: 6).
Addirittura, nel 1934 il governo dispose che tutti i registri degli uffici di stato civile per la certificazione delle morti venissero inviati ai reparti speciali, dove, poi, probabilmente furono distrutti (cit. in Ivnitskij 2004: 90).
Il 28 settembre 1933, in risposta ad una sollecitazione della Federazione europea degli Ucraini all’estero, la Croce Rossa Internazionale scrisse: «L’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche non ha mai fatto appello a favore delle popolazioni che si trovano sul suo territorio. E noi ci troviamo, per questo, nell’impossibilità di lanciare un appello a favore delle popolazione in questione» (cit. in Cinnella 2015: 33).
Parte terza
FU UN GENOCIDIO?
Il 28 novembre 2006 il parlamento dell’Ucraina ha approvato una legge dove il Holodomor viene qualificato come “genocidio”. L’Onu nella Convenzione del 9 dicembre 1948 riserva il termine genocidio per indicare atti «commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale». Alcuni paesi ed organizzazioni internazionali riconoscono il Holodomor come genocidio, altri paesi lo condannano come “crimine contro l’umanità». Anche la comunità degli studiosi appare divisa circa l’opportunità e la correttezza terminologica, a partire da ciò che stabilisce la Convenzione Onu, dell’utilizzo del termine genocidio a proposito del Holodomor. Qui appresso, a documentazione molto parziale e solo indicativa di un dibattito molto ampio, vengono riportati alcuni giudizi.
ONU
«Art. II
Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
a) uccisione di membri del gruppo;
b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».
(Convenzione del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio)
Andrea Graziosi
«Il numero delle loro vittime fa delle carestie sovietiche del 1931-33 un insieme di fenomeni che, nel quadro della storia europea, può essere paragonato solo ai successivi crimini nazisti. E il corso degli eventi in Ucraina e nel Caucaso settentrionale, il legame che esso ebbe tanto con l’interpretazione che Stalin diede della crisi, quanto con le politiche che da essa discesero, ripropone, in modo nuovo, la questione della loro natura: ci fu anche un genocidio ucraino? La risposta sembra essere no se pensiamo a una carestia concepita dal regime o – versione ancor più indifendibile – dalla Russia per distruggere il popolo ucraino. E resta no se si adotta una definizione restrittiva di genocidio come volontà preordinata di sterminare tutti i membri di un gruppo etnico, religioso o sociale, nel cui caso solo l’Olocausto rientrerebbe nella categoria.
Anche la definizione abbastanza stretta di genocidio adottata dalle Nazioni unite nel 1948 elenca però tra i possibili atti genocidari, accanto al “killing members of the group, and causing serious bodily or mental harm to members of the group”, “deliberately inflicting on members of the group conditions of life calculated to bring about its physical destruction in whole or in part” (corsivo mio). Poco prima, Raphael Lemkin, cui dobbiamo il termine, aveva notato che “generalmente parlando, genocidio non significa necessariamente l’immediata distruzione di una nazione… Col termine si intende piuttosto un piano coordinato di più azioni teso a distruggere le fondamenta essenziali della vita di gruppi nazionali …”.
In questa prospettiva, se riflettiamo sulla sostanziale differenza tra i tassi di mortalità nelle diverse repubbliche; aggiungiamo ai milioni di vittime ucraine, incluse quelle del Kuban, i milioni ucraini russificati dopo il dicembre 1932, e le migliaia di fuggiaschi contadini che incontrarono lo stesso fato dopo essere sfuggiti ai posti di blocco della polizia ed essersi rifugiati nella Repubblica russa; teniamo conto del fatto che abbiamo perciò a che fare con la perdita del 20-25% della popolazione etnica ucraina; ricordiamo che questa perdita fu causata dalla decisione – indubbiamente un atto soggettivo – di usare la carestia in senso antiucraino sulla base della “interpretazione nazionale” della crisi sviluppata da Stalin nella seconda metà del 1932; teniamo presente che senza questa decisione le vittime sarebbero state al massimo nell’ordine delle centinaia di migliaia, vale a dire meno che nella carestia del 1921-22; e se finalmente prendiamo in considerazione la distruzione di gran parte dell’élite politica e intellettuale della repubblica, dai maestri di villaggio ai leader nazionali, allora la risposta alla domanda sul genocidio ucraino non può che essere positiva».
Il Holodomor è stato però molto diverso [dall’Olocausto]. Esso non si propose lo sterminio dell'intera nazione ucraina, non si basò sull'uccisione diretta delle vittime, e fu motivato e costruito teoricamente e politicamente – è possibile dire “razionalmente” ? – e non su basi etniche e razziali, una diversa motivazione che è almeno in parte all'origine delle prime due differenze.
In questa luce, l'Olocausto è eccezionale perché rappresenta la più pura, e perciò qualitativamente differente, forma di genocidio immaginabile. Esso fa parte dunque di una categoria a sé stante, ma allo stesso tempo rappresenta il vertice di una piramide a più strati, i cui gradini sono costituiti da altrettante tragedie. Quello del Holodomor si trova vicino alla sua sommità». (Graziosi 2004: 25-28)
Nicolas Werth
«L’Holodomor è stato molto diverso dalla Shoah: non si proponeva lo sterminio totale della nazione ucraina - circa il 15% della popolazione morì a causa di questa carestia; non si basava sull’eliminazione diretta delle vittime; fu motivato ed elaborato sulla base di una razionalità politica e non su fondamenti etnici o razziali. Tuttavia, riposizionato entro il suo contesto storico, l’Holodomor è il solo evento europeo del XX secolo che, per numero delle vittime, possa essere paragonato ai due altri genocidi, quello armeno e la Shoah» (Werth, «Nouvel Observateur», hors séries thématiques - : N°70 - L'histoire en procès - Manipulations, mythes et tabous, nov. 2008).
Stanislav Kul’chyts’kyj
«Il documentato meccanismo che sta dietro l’organizzazione del Holodomor comprende tre elementi: la confisca degli alimenti, il divieto ai contadini affamati di trasferirsi dall’Ucraina e dal Kuban in altre regioni, il blocco delle informazioni. Tutte insieme queste misure implicano la creazione di condizioni incompatibili con la vita, ciò che significa genocidio» (Kulchytsky 2008).
Alec Nove
«Nel 1933 un enorme crimine venne commesso nell’Unione Sovietica: milioni di contadini furono fatti morir di fame. È dunque appropriato parlare di “carestia terroristica”. Si trattò di un evento unico nella storia universale. Naturalmente vi sono state molte carestie, e in tempo di guerra viene considerato del tutto legittimo imporre la morte per fame ai civili nemici in una città assediata; basti pensare alla tragedia di Leningrado nel 1941-42. Ma far morire di fame il proprio popolo, non compiere nessun tentativo di soccorso (impedendo di fatto che vengano inviati soccorsi), togliere la vita a milioni di contadini in nome del “governo degli operai e dei contadini” (negando risolutamente l’esistenza stessa della carestia), tutto ciò sicuramente non ha precedenti» (cit. in Cinnella 2015: 55).
Ettore Cinnella
«… la collettivizzazione, per i suoi obiettivi e modi d’attuazione, mirò anche al repentino sradicamento della mentalità e delle tradizioni (tra cui la fede religiosa) delle masse contadine, insomma all’annichilimento della loro identità sociale e culturale».
«Dinanzi ad una così spaventosa tragedia, paiono meschine le polemiche politiche e infruttuose le logomachie accademiche sul termine “genocidio”, dinanzi al quale molti arricciano il naso. Se anche l’abbandonassimo, chiamando il holodomor in altro modo, nulla cambierebbe: resterebbe l’inenarrabile strazio fisico e morale di tutto un popolo; resterebbero le infinite moltitudini di vittime umane immolate sull’ara del comunismo moscovita». (Cinnella 2015: 281, 297).
NB Il grassetto è sempre dell’autore dell’articolo.
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Bibliografia
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Immagini
1. https://ukraineholodomorck.weebly.com/location.html
3, 4, 5, 6. Fotografie di Alexander Wienerberger