di Rita Depalmas *
STORIE DI RESISTENZA E DI CARABINIERI
a vent’anni la vita è oltre il ponte (Italo Calvino)
L’8 settembre 1943 e la Resistenza. «Il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al gen. Eisenhower, comandante in capo delle Forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse, però, reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». («Corriere della Sera» giovedì, 9 settembre 1943)
Con tali parole, il maresciallo Badoglio diffondeva via radio la notizia della firma dell’armistizio con le forze alleate. Si pensava che le ostilità fossero finite ma, in realtà, l’8 settembre diede il via alla guerra civile, italiani contro italiani; nonostante ciò, molti videro in quel giorno l’inizio del riscatto morale. La catastrofe in cui si trovò l’Italia a seguito dell’armistizio e la rapida e aggressiva occupazione di gran parte dell’Italia da parte dell’esercito del Reich, offrì alle forze politiche antifasciste uscite dalla clandestinità la possibilità di organizzare la lotta politico-militare contro l’occupante.
Il contributo della gente comune, dei soldati, dei carabinieri. I libri scolastici, però, poco dicono dell’importante contributo dato dalla gente comune, dai soldati, dai carabinieri alla liberazione dell’Italia dalla tirannia nazi-fascista. Nelle pagine che seguono vorrei parlare di loro, di coloro che vennero chiamati prima “ribelli”, poi partigiani e, in particolare, di una persona che ha contribuito, partecipandovi attivamente, alla liberazione di Firenze e Fiesole, combattendo e condividendo speranze, ansie e dolori con quei ragazzi e ragazze che, nel luglio-agosto 1944, vennero trucidati dalle truppe tedesche.
Dopo la disfatta militare delle Forze dell’ASSE e la stipulazione dell’armistizio, l’Italia si trovò quasi totalmente occupata dalle truppe del 3° Reich. Numerosi soldati, come pure i civili, di qualsiasi ceto ed età, si raggrupparono prima in gruppi, in seguito in brigate, infine in divisioni, convergendo tutti nel Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.); era l’inizio della guerra civile, la Resistenza dei partigiani al nazifascismo, che si concentrò soprattutto nell’Italia del Nord.
Alla Futa (passo sull’Appennino Tosco-Emiliano), fin dalle prime ore dopo l’annuncio dell’armistizio, un gruppo di 36 uomini, insieme con altri militari là dislocati, dava vita alla formazione partigiana denominata “Brigata V”, dal nome del suo creatore, organizzatore e comandante Vittorio Sorani. Tale formazione, facente parte del Corpo Volontari della Libertà (CVL) divisione “Giustizia e Libertà”, come molte altre organizzazioni, si volle apolitica e si mantenne tale fino al suo scioglimento, avvenuto il 7 settembre del 1944. La “Brigata V” si componeva di 87 “Squadre d’azione”, che mobilitarono 1069 uomini, di cui solo 91 erano civili. I loro interventi si concentrarono in prevalenza in Toscana, ma alcune di queste squadre operarono anche a Milano. La maggior parte degli aderenti furono, comunque, militari delle varie armi che, dopo l’8 settembre, decisero di abbandonare i loro reparti.
ANGELINO MEDDE nasce a Norbello il 12.07.1923, quarto figlio di Giuseppe e di Mariantonia Pinna. Concluse le scuole inferiori nel 1937, insieme al padre si dedica alla cura dei campi e del bestiame. Tale attività viene da lui portata avanti sino all’età di diciassette anni, quando, a Roma, si arruola nell’arma dei carabinieri. Dal 1943 presta servizio presso la caserma dei carabinieri “Campo Marte” di Firenze; nel settembre dello stesso anno, pur continuando a prestare servizio, entra a far parte della formazione partigiana “Brigata V”. Conclusa la guerra, nel 1945, riprende servizio come carabiniere presso la caserma di Parma. Ammalatosi, viene considerato inabile al servizio e, per questo, viene collocato in pensione tra la fine del 1949 e l’inizio 1950. Per l’attività svolta durante la Resistenza, gli venne concesso il titolo di maresciallo onorario. Ventisettenne, rientra a Norbello, dove riprende l’attività di contadino sino agli inizi degli anni sessanta, quando viene assunto come dipendente dal Comune di Norbello. Muore nell’ospedale di Ghilarza il 05.05.2005.
Fra questi vi era un carabiniere di Norbello, appena ventenne, il quale svolgeva servizio presso la stazione CC.RR. di Campo di Marte a Firenze. È il 14 settembre 1943 quando Angelino con l’amico commilitone Dante Sbaraglia, venuti a conoscenza dell’attività antifascista e clandestina svolta da Vittorio Sorani, decisero di collaborare con la sua Brigata, impegnandosi a fornirgli informazioni e non solo. In accordo con Sorani, al fine di poter reperire più informazioni possibili, in un primo momento continuarono a prestare servizio presso la caserma fiorentina. Da quel momento i due, godendo dell’appoggio del tenente dei carabinieri Carlo Duboin e del maresciallo dei C.C. Giuseppe Sulis, diedero vita ai primi gruppi “V” all’interno della scuola sottufficiali dei carabinieri, fornendo alla brigata ingenti quantità di armi e munizioni raccolte in numerosi depositi intorno a Firenze.
Successivamente in molte altre caserme, come pure in molti uffici di enti militari, si infiltrò un componente della “Brigata V”, con lo scopo di carpire circolari riservatissime emanate dal comando tedesco, nonché da Hitler stesso, e informazioni di importanza strategica, utili alla causa della formazione partigiana, oltre che evitare deportazioni, arresti e fucilazioni. Il 25 settembre una pioggia di bombe si riversò su Firenze. Infatti la città, nonostante fosse stata dichiarata dai nazisti città aperta a tutela dei suoi tesori culturali, venne trasformata, dagli stessi tedeschi, in un centro di smistamento di armamenti. Gli alleati, in particolare, tentarono di colpire il nodo ferroviario di Campo di Marte ma, a causa di un errore, venne bombardata la zona di piazza Cavour, a nord del centro storico, causando così la morte di numerosi civili innocenti. La tragicità dell’episodio sconsigliò un altro tentativo del genere. I tedeschi, al contrario, non si manifestarono altrettanto “benevoli”: nel novembre del 1943 prese il via la deportazione degli ebrei fiorentini.
Non potendo combattere apertamente i nazi-fascisti, lo si faceva clandestinamente. Diversi vennero sospettati di fare parte delle formazioni partigiane, e contro di loro venne emesso un mandato di cattura; uno di questi riguardava Vittorio Sorani. Venuto a conoscenza di ciò, il 2 dicembre, Dante Sbaraglia dovette recarsi dal Sorani per notificargli il mandato di cattura, ma, anziché eseguire gli ordini, gli consigliò di cambiare residenza, consegnandogli delle armi per i primi gruppi “V” di partigiani alla macchia. Il giorno successivo sarà Angelino Medde a dover notificare lo stesso mandato di cattura. In accordo con Sbaraglia, Medde finse la ricerca di Sorani e, rientrato in caserma, riferì l’esito negativo. Il mandato di cattura di Sorani, a questo punto, veniva rimesso nelle mani delle autorità militari tedesche.
Nei giorni seguenti Medde e Sbaraglia portavano avanti la collaborazione segreta con gli uomini della Brigata. Dalla caserma CC.RR. sottraevano licenze, timbri, permessi di circolazione, tesserini e informazioni di carattere militare; riusciti ad entrare nell’archivio, attraverso una chiave falsa, entrarono in possesso di diverse pratiche di ricerche di patrioti renitenti e di una copia del mandato di cattura di Sorani. Il verbale di arresto di un disertore di Cassino venne sostituito con uno di presentazione spontanea, questo per evitare che il disertore venisse fucilato. Di tali risultati Sorani veniva informato durante i loro incontri, organizzati principalmente di notte, nel corso dei quali, i due fornivano il necessario di cui disponevano per i partigiani alla macchia. Il centro e base della “Brigata V” erano l’ospedale di Camerata e la zona di San Domenico. Qui non solo custodivano i viveri sottratti ma, grazie alla collaborazione di un medico e di alcune suore, il comandante poteva trasmettere agli alleati informazioni di importanza strategica.
Nel gennaio 1944 le forze anglo-americane, riprendevano gli attacchi aerei: il 18 gennaio 1944 vennero bombardate le zone vicino a Firenze, mentre il 9 febbraio fu la volta delle zone periferiche del capoluogo toscano. Lo stesso 9 febbraio, sempre più decisi a contrastare la politica violenta nazista, Medde e Sbaraglia progettavano un piano di fuga dalla caserma, ma, su ordine del Sorani, restarono in servizio, prestando, con rammarico, giuramento.
Nel frattempo, per punire i renitenti alla leva, venne insediato un Tribunale Militare Straordinario. Vennero arrestati e condannati a morte cinque giovani, uno dei quali sardo (Leandro Corona). All’alba del 22 marzo, al Campo di Marte, alla presenza delle autorità fasciste e delle reclute, costrette ad assistere, venne eseguita la fucilazione. Quei momenti drammatici vengono descritti in ogni particolare da Don Angelo Beccherle, cappellano militare e componente della “Brigata V” che dovette confortare fino all’ultimo i cinque sfortunati.
Medde e Sbaraglia intensificarono la loro collaborazione con i partigiani e, Sbaraglia, per critica alla propaganda tedesca, venne punito con gg 10+10 di reclusione. Nonostante ciò, Medde, attraverso un cifrario convenuto, riuscì a comunicare con il suo amico commilitone, informandolo in merito alle notizie segrete che riusciva a carpire da una telefonista; allo stesso tempo teneva i contatti con il comandante la Brigata.
Mentre riprendevano i bombardamenti della città, in particolare di Campo Marte e Rifredi, all’interno della caserma, si insinuò il sospetto che i due svolgessero un’attività clandestina e ostile. È la terza decade di maggio quando Medde e Sbaraglia si trovarono di fronte all’inevitabile deportazione verso la Germania. Sbaraglia si finse malato ma, dopo alcuni giorni, un medico repubblichino lo dichiarò idoneo al servizio. Non potendo più restare, su ordine del Sorani si diedero alla fuga. Il 3 giugno Medde si dileguò con armi e bagagli; Sbaraglia, avvertito dal telefonista della caserma centrale, fuggì portandosi dietro un piccolo arsenale.
Nei giorni successivi ritornarono nelle proprie abitazioni per prelevare armi, munizioni, tessere e bandierine del fronte antifascista, per portarle a Villa Biondi (nel cui parco tutto il materiale veniva custodito da un ammiraglio di divisione). Curiosa la descrizione del trasferimento: «poiché la moto era sprovvista del permesso di circolazione e della chiave del quadro, scese la Via della Piazzola con la marcia in folle giungendo in prossimità del Viale Alessandro Volta in cui vi era un garage tedesco. Con la scusa di essere in servizio di ricognizione, cercai la simpatia di un maresciallo che, di sua spontanea volontà, mi diede una chiave per il quadro, inventandomi di averla smarrita». I due raggiunsero i compagni che da tempo si trovavano alla macchia; già a partire dal 5 giugno si misero a completa disposizione del comandante Sorani, del quale divennero le guardie del corpo. Da quel momento iniziò l’attività clandestina dei due amici nel territorio di Fiesole. Il compito loro affidato era quello di procurare armi, documenti e viveri, che sarebbero stati successivamente distribuiti alle varie squadre d’azione cittadine.
Gli avvenimenti si susseguirono molto velocemente. L’8 giugno il C.T.L.N. (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale) suddivise Firenze in quattro zone operative: Oltrarnocon 77 squadre operative; Cascine, Porta a Prato, Rifredi con 39 squadre; Centro storico con 84 squadre; Campo di Marte, via Bolognese, via Faentina con 50 squadre. Qualche giorno dopo, il 13 giugno 1944 una spia, informava le autorità tedesche, che nell’ospedale di Camerata a S. Domenico, era ricoverato il comandante di una squadra partigiana: Vittorio Sorani. Ancora una volta la sua cattura venne sventata: Medde riuscì a informarlo per tempo dell’arrivo delle SS. Nella fuga però, il comandante perse i documenti e le bandierine di segnalazione della “Brigata V”; Medde e Sbaraglia, con l’aiuto di una suora dell’ospedale, di un altro partigiano e di Tina Lorenzoni riuscirono a recuperarli e a riconsegnarli al Comandante.
Nei mesi successivi, Medde e altri cinque uomini, ricevettero l’ordine di trasferirsi a Villa Craft per poter disturbare le trasmissioni della vicina radio tedesca. Pochi giorni dopo, il compito loro affidato cambiava ancora: il 10 luglio undici membri della Brigata, fra cui i due amici, assaltarono l’accademia della milizia forestale in via Damasco. Questa operazione fruttò loro numerose armi, munizioni e bombe a mano, le quali vennero trasportate a Villa Biondi dal fratello del comandante. A questo piccolo arsenale, si sommavano le varie armi fornite da amici, soldati e carabinieri a Villa di Quarto, dove tre partigiani provvidero ad occultarle.
Il clima nella zona fiorentina si faceva sempre più pesante; nella metà di luglio, in Piazza Torquato Tasso, si registrò un tragico episodio. Temendo un rastrellamento da parte delle forze fasciste, numerosi abitanti si diedero alla fuga, scatenando una violenta reazione da parte dei fascisti: venne dato l’ordine di aprire il fuoco sulla folla, uccidendo così cinque persone, tra cui un bambino di 4 anni.
L’avanzata nella penisola da parte delle truppe anglo-americane, era però ripresa. Intimoriti dal seguito che le forze alleate registravano, il 25 luglio i fascisti partirono per il Nord Italia, portando con sé i dossier sui reati da loro commessi. Solo due giorni dopo gli alleati occuparono S. Casciano. Da quel momento migliaia di profughi, provenienti dalle campagne, si rifugiarono a Firenze, mentre il CTLN diramò disposizioni affinché i partigiani, che avevano trovato rifugio nelle montagne, scendessero in città. Firenze, però, non era ancora libera.
L’insurrezione di Firenze. Il 29 luglio, le truppe tedesche provenienti dal sud Italia, in ritirata a causa dell’incalzare degli alleati, si concentrarono nel capoluogo toscano e, su indicazioni dello stesso Hitler, minarono tutti i ponti ad eccezione di Ponte Vecchio. La situazione precipita. Il 3 agosto, alle ore 15, il Comando tedesco proclama lo stato di emergenza, vietando alla popolazione di Firenze di uscire dalle proprie abitazioni e, intorno alle 21, iniziarono a far saltare i ponti sull’Arno. Lo stesso giorno scoppia l’insurrezione patriottica.
L’8 agosto tutto il Viale dei Mille e le strade adiacenti venivano occupate dai tedeschi che sparavano alle finestre delle case e agli incroci delle strade. Una donna che uscì di casa per attingere dell’acqua venne uccisa e, due crocerossine, che prestarono soccorso ad un ferito, vennero ferite a loro volta. Quattro squadre della “Brigata V”, con un complessivo di 44 uomini, entrarono in azione nella zona di Oltrarno, in collaborazione non solo con le truppe alleate, ma anche con altre brigate di partigiani. Le azioni di queste squadre costrinsero i tedeschi ad abbandonare la linea dei Lungarni, per attestarsi lungo i viali di Circonvallazione, il Mugnone e la ferrovia Firenze-Roma. L’11 agosto, le operazioni di combattimento si spostarono al Centro, a Campo di Marte e a Fiesole. Lo stesso giorno, alle 7, gli uomini del C.T.L.N. scortati dai partigiani arrivarono a Palazzo Medici Riccardi e installarono il nuovo governo cittadino.
Intanto, in quasi tutte le strade si continuava a combattere contro franchi tiratori e retroguardie tedesche. Divise dalla linea difensiva dei tedeschi, le forze dei partigiani si trovarono in difficoltà; la battaglia nella quarta zona (Campo Marte, S. Domenico, Fiesole), dove agivano i gruppi “V”, si fece particolarmente aspra. Durante i combattimenti che avvennero tra il 12 e il 18 agosto, Medde ebbe l’incarico di effettuare la distribuzione di viveri e munizioni alle 36 squadre della “Brigata V” e agli Ufficiali. Venne più volte fermato dalle truppe tedesche ma, travestito da soldato di sanità, riuscì ad attraversare i rioni della città, recando a domicilio acqua, viveri e medicinali, agli infermi e al generale di divisione Enrico Rovere, nella cui abitazione erano custodite carte topografiche militari di grande valore strategico.
Il giorno 18 Medde si trovava nella seconda zona (Rifredi-Romito ), dove, alle primissime ore, le 9 squadre della “Brigata V” entrarono in azione contro le truppe tedesche: il primo scontro ebbe luogo fra piazza Leopoldo e via Vittorio Emanuele. Successivamente lo scontro si sposta in quasi tutta la seconda, fino all’Ospedale di Careggi. Durante un accanito combattimento vennero feriti un carabiniere ed altri tre componenti la Brigata. Medde, con l’aiuto di una crocerossina trasportò il carabiniere nel più vicino posto di medicazione dove, causa le gravi ferite, morì.
I giorni seguenti Medde e Sbaraglia si rincontrarono. Dopo un altro combattimento, che costrinse i tedeschi ad arretrare di parecchie centinai di metri, il comandante con i due terzi della brigata, si recarono in Piazza della Stazione per prendere accordi col comando canadese. Si convenne che anche la “Brigata V” dovesse prendere parte ai combattimenti in Via Bolognese. A questo punto Sbaraglia si recò a Rifredi per radunare gli uomini, fra i quali Medde, rimasti in avanguardia ma, giunto al Ponte del Mugnone, alcune donne gli riferirono che una pattuglia tedesca era ritornata in piazza Leopoldo, creando scompiglio fra civili e combattenti. Mediante l’aiuto di un ufficiale, riuscì a riorganizzarsi e, con una quarantina di patrioti, dopo un violentissimo scontro, riconquistarono la via Rifredi. Tre tedeschi si nascosero, appostandosi nella scalinata della chiesa dei Cappuccini, e, facendo fuoco, tentarono di disturbare le operazioni di rastrellamento. Sbaraglia con altri 5 partigiani, coperti dal fuoco di sbarramento di Medde, riuscirono ad arrivare nella casa di fronte alla chiesa costringendo i tedeschi alla fuga. I combattimenti si spostarono sulla via Bolognese; durante un’azione contro un carro armato, cinque uomini vennero schiacciati dai cingoli e, lo stesso comandante della Brigata, rimase ferito, pur restando sul posto a guidare i suoi uomini.
Il 31 agosto venne liberato l’ospedale di Careggi e il 1° settembre Fiesole. Il 7 settembre 1944 vennero sciolte tutte le formazioni combattenti e i partigiani sfilarono per le vie della città fra gli applausi della folla; ma 84 uomini della “Brigata V”, su richiesta del Comando Alleato, si aggregarono alle avanguardie alleate fino alla liberazione di Bologna.
Il sacrificio di tre giovani carabinieri e di una crocerossina. Nel ricordare quei giorni, Angelino Medde non dimenticò mai quanto avvenne nella vicina Fiesole. A Fiesole la Stazione dell’Arma svolgeva un’intensa azione di guerriglia, assicurando la copertura dei patrioti operanti e nascondendo gli ex prigionieri alleati. Il 6 agosto i tedeschi, ormai in ritirata, arrestarono il comandante (capo della resistenza locale) insieme ad altri civili. Ne scelsero dieci a caso, li rinchiusero nel sottoscala dell’Albergo Aurora, sede del comando tedesco, con l’intento di fucilarli in caso di eventuali azioni di sabotaggio. Alcuni giorni dopo, il 10 agosto, il comandante fatto prigioniero, riuscì a fuggire, e raggiunse i partigiani della divisione "Giustizia e Libertà". Fece pervenire ai "suoi" carabinieri Marandola, La Rocca e Sbarretti, l’ordine di darsi alla macchia e di raggiungerlo a Firenze, passando attraverso le linee tedesche travestiti con il saio e il cappuccio dei Fratelli della Misericordia. Seguendo il consiglio del comandante, i tre carabinieri la notte dell’11, dopo aver seppellito i moschetti e il fucile mitragliatore nel giardino della caserma, si incamminarono verso i locali della Confraternita della Misericordia ma, a causa dei posti di blocco, non riuscirono ad abbandonare Fiesole; si rifugiarono così nella zona archeologica. Il giorno successivo quando l’ufficiale tedesco venne a sapere della loro scomparsa ordinò la fucilazione di dieci ostaggi, la cui vita sarebbe stata risparmiata soltanto nel momento in cui i tre giovani carabinieri si fossero ripresentati. I tre, informati dell’accaduto dal custode della Confraternita, consapevoli del loro destino, si presentarono volontariamente al comando nazista. La sera dello stesso giorno, vennero fucilati.
Un altro episodio rimase impresso per sempre nel ricordo di Angelino: la triste sorte a cui andò incontrò la crocerossina che combatté a fianco a lui, Tina Lorenzoni. La giovane di 25 anni, a seguito dell’armistizio con le forze alleate, si mise a servizio come crocerossina ed entrò a far parte della “Brigata V”. La mattina del 21 agosto, Tina Lorenzoni, riuscì, ancora una volta, ad oltrepassare le linee nemiche per scoprire e rilevare la loro posizione, che rendeva molto difficile l’avanzata dei componenti della Brigata. Catturata da una pattuglia tedesca, venne portata a Villa Cisterna, dove venne rinchiusa in una stanzetta per essere interrogata. Rimasta sola, l’indomani tentò di fuggire, ma, mentre tentava di scavalcare il reticolato di recinzione, venne uccisa da una raffica di mitra in Via Bolognese.
Finita la guerra Angelino riprese il servizio come carabiniere, fino a quando, una malattia, non lo costrinse a congedarsi. Rimase sempre riconoscente verso coloro che lo aiutarono, fra i quali si distinsero le religiose, che più volte lo nascosero presso il loro convento.
Angelino Medde, Dante Sbaraglia, Vittorio Sorani e tutti quelli che, come loro, scelsero di combattere il nazifascismo, forse non erano né santi né eroi ma, sicuramente, non rimasero indifferenti in quei tragici avvenimenti, lasciando agli altri l’onere di decidere per loro. Incuranti della loro sorte, sono stati protagonisti della storia e, le loro azioni, hanno permesso alle generazioni del dopo-guerra di crescere e vivere in una nazione libera e democratica.
* Questa ricerca è stata presentata, in altra versione, come “tesina” per l’esame di Stato 2014 presso il Liceo scientifico di Ghilarza e pubblicata sul sito della scuola.
Fonti:
Vittorio Sorani, 365 giorni di guerra fra case e montagne (dattiloscritto).
CVL, Divisione “Giustizia e Libertà”, “Brigata V”, Rapporto dei carabinieri Dante Sbaraglia e Angelino Medde (dattiloscritto).
Ivano Tognarini, Firenze, agosto 1944: la liberazione e l’autogoverno, in <http://www.istoresistenzatoscana.it>